Sei.

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Erano passate altre due settimane.

Per Fabrizio, altri giorni per ubriacarsi la notte e risvegliarsi con forti mal di testa.
Altri giorni per portare Baffo a fare lunghe passeggiate e vederlo crescere sotto ogni aspetto;
per vedere i suoi figli, starci insieme, giocare, ridere;
per sentire il supporto di Giada, ringraziarla ed aiutarla in casa.
Altri giorni per soffrire, sempre più dei precedenti.

Per Ermal, altri giorni di preparativi per il matrimonio, ormai troppo vicino.
Altri giorni per sentire il bimbo muoversi nella pancia di sua madre;
per stare vicino a Silvia, per viziarla, coccolarla;
per i concerti, la stanchezza, il sentirsi ripagato dalla sua gente.
Altri giorni per soffrire, sempre più dei precedenti.

Si erano sentiti telefonicamente, quasi tutti i giorni, avevano scherzato su whatsapp e riso sul letto con il cellulare in vivavoce come due ragazzini innamorati quando si separano.
Avevano parlato dell'addio al celibato che, per motivi di lavoro di Ermal, sarebbe stato venerdì, il giorno prima del matrimonio.
Sarebbe andato a sposarsi in after, se fosse stato necessario, ma non aveva alcuna intenzione di risparmiarsi quella notte.
Fabrizio sembrava più euforico del necessario per quella festa, forse perché si sarebbe sentito meno in colpa a bere tutto ciò che gli capitava sotto il naso.

//

Aveva parcheggiato fuori dalla stazione e a passo svelto l'aveva attraversata per andare a prendere Fabrizio, in quella tranquilla domenica di fine settembre.
Erano stati invitati ad un evento in piazza Duomo a Milano e, dopo tanti no, avevano accettato finalmente di ricantare insieme Non mi avete fatto niente.

Lo vide scendere dal treno, lo zaino sulle spalle e il trasportino in una mano.
Si era ripromesso che Baffo sarebbe andato ovunque potesse portarlo, non gli piaceva assolutamente l'idea di lasciarlo solo a casa anche se solo per qualche ora.
Sorrisero entrambi quando i loro sguardi si incrociarono e il più piccolo lo accolse in un abbraccio mentre l'altro lo stringeva con l'unico braccio libero.

Il riccio si chinò per guardare dentro il trasportino, salutando Baffo con la mano «Ciao piccolo.» aveva sorriso tornando a camminare accanto al moro fino alla macchina.

«Gli altri arriveranno tra due ore circa.» lo informò Fabrizio riferendosi alla sua band.
Si sedette nel sedile del passeggero mentre Ermal metteva in moto.

«Perfetto.» disse uscendo dal parcheggio.

Lo sguardo del moro si concentrò sulle mani dell'altro; una stringeva il volante e l'altra stava sul cambio. L'espressione seria e concentrata sulla strada lo rendevano, ai suoi occhi, sempre più bello.

Nella sua testa riaffiorarono i ricordi, quando Ermal aveva fatto ore di viaggio per Firenze mentre lui si era addormentato sul sedile con la sua immagine serena davanti agli occhi.

«Che c'è?» chiese quando si accorse del suo sguardo.

«No, niente.» si voltò verso il finestrino prima di lanciare un'occhiata a Baffo, posizionato nei sedili posteriori, ancora dentro al trasportino, probabilmente si era addormentato «Dove stiamo andando?» chiese poi guardando la strada.

«A bere una birra e a far fare una passeggiata a Baffo, poi andiamo a prendere il tuo abito.» disse tranquillamente mentre il moro si strozzava con la sua stessa saliva.

«Abito? Nun ce pensà proprio, te sposi tu mica io.» aveva incrociato le braccia al petto tenendo lo sguardo verso il finestrino.

«Sì ma dato che sei il testimone e non puoi vestirti da pescatore andremo a comprare un abito.» spiegò.

«Che me ne faccio di un abito? Non lo metterò mai più in vita mia, se non al mio funerale.» rispose ancora contrariato dalla sua proposta, consapevole del fatto che dopo mezz'ora si sarebbe trovato a misurare abiti con Ermal affianco che rideva ad ogni sua uscita dal camerino.

Non c'è niente di più fragile di una promessa. «MetaMoro»Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora