Undici.

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Si alzò dal letto per recuperare i suoi boxer, cacciò le lacrime tirando su con il naso e fece un lungo respiro.

Era stanco.

Stanco di essere trattato come un oggetto, di stare a seguirlo in ogni sua decisione, di assecondare ogni sua parola.

Stanco di quella vita che all'apparenza poteva sembrare un sogno.

Stanco di soffrire per amore, che poi amore forse non era mai stato.
Perché infondo cosa erano stati? Una storia senza capo né coda, se storia almeno si potesse chiamare.
Era un continuo vedersi di nascosto, fuggire per poi ritrovarsi. Amarsi per poi scomparire.

«Che cazzo hai detto?» urlò a sua volta «Ti sei fatto prendere dal momento? Stai scherzando spero!» si avvicinò a lui, fronteggiandolo.

«Lo capisci che mi sposo domani?» sbraitò «Lo capisci cazzo?» continuò infilandosi la camicia per poi iniziare ad abbottonarla senza preoccuparsi dello stato d'animo dell'altro.

Il moro si chinò a prendere i suoi jeans, infilandoli velocemente prima di afferrare anche la camicia.
Non si sarebbe risparmiato, non quella volta.

«Dovevo capirlo da quella cazzo di notte al Forum, dovevo incazzarmi di più magari spaccarti il naso e mandarti a fanculo una volta per tutte! Invece mi ritrovo ancora qui a fare l'amore con te nonostante tu domani andrai all'altare a sposare una donna che non ami, solo perché sei un codardo di merda ed io non posso sopportarlo, io sto morendo dentro e tu non te ne sei minimamente accorto!» gli sputò in faccia.

La vena del collo gli pulsava e il petto continuava ad alzarsi e abbassarsi a ritmo del suo respiro irregolare.
Gli occhi bruciavano come mai prima d'ora ma non voleva piangere di nuovo, non in quel momento.
Voleva solo farsi sentire per una volta  aveva la dannata voglia di esternare tutto, di parlare, di sfogarsi come non aveva mai fatto.
Avrebbe voluto vomitargli addosso tutto il rammarico e la delusione di quella vita che gli stava portando via.

«Pensi che io non stia soffrendo? Non dire cazzate Fabrì, come potevo immaginare che lei rimanesse incinta?» disse e la sua voce si era leggermente abbassata facendo spazio al tanto dolore che gli occhi tristi del romano gli stavano provocando.

«Lei non è più incinta Ermal! Tu puoi finalmente lasciarla e stare con me! Perché non lo fai?!» lui la voce non l'aveva abbassata, continuava ad urlare con tutta la rabbia che aveva in corpo.

L'aveva promesso a sé stesso che nessuno sarebbe riuscito più a farlo tornare il ragazzino incazzato con il mondo che era un tempo.
Il solito pazzo che urlava per ogni cosa che gli andasse male.
Ma non poteva farne a meno, non riusciva a controllarsi forse sopraffatto dal troppo dolore.

Avrebbe voluto mollare la presa, andar via come avrebbe fatto in qualsiasi altra circostanza, senza dire niente.
Invece si ritrovava a sbraitare contro un corpo che non riconosceva più, contro un'anima che non era più quella che aveva avuto accanto per quei mesi.

«Non posso lasciarla all'altare Fabrizio, pensi che sia facile fare una cosa del genere? Ci sarà la mia famiglia e quella di Silvia, suo padre mi ammazza se dovessi fare una cosa del genere.» si portò le mani tra i ricci, disperato.

«Ipocrita.» ringhiò.

«Ci vediamo tra qualche ora in chiesa.» attraversò la camera a grandi falcate nonostante la schiena gli facesse terribilmente male, ma non lo diede a vedere più di tanto.
Appoggiò la mano sulla maniglia prima di voltarsi per lasciargli un ultimo sguardo.

«Sei convinto che io venga davvero al tuo matrimonio? Appena supererai quella porta, con me hai chiuso.» disse allacciandosi una scarpa, seduto sul letto che aveva visto il loro amore consumarsi.

Non c'è niente di più fragile di una promessa. «MetaMoro»Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora