Prologo

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Quando sono nervosa tamburello con le dita su qualunque superficie mi si trovi davanti. Se non ho un tavolo, lo faccio sulla mia coscia.

Dunque, eccomi qui, con le mani sulle cosce, a tamburellare.

La sua mano calda si posa sulla mia, fermandomi.
-Smettila. È irritante-.

Mi guarda con quei grandi occhi verdi che proprio non riescono a rivolgermi uno sguardo gentile. Le sopracciglia scure sono aggrottate, il suo volto è contratto.

La sua mano indugia sulla mia, forse un po' di più del dovuto.

Annuisco abbassando lo sguardo. Quando è sicuro che abbia smesso con il mio tic, lascia la presa e torna a guardare davanti a sé.

Lo osservo. Anche lui sembra teso, ma credo sia quel tipo di persona che non lo ammetterebbe mai. Lo lascio stare, non faccio domande.

Rivolgo anche io lo sguardo di fronte a me, mordendomi la lingua per evitare di tamburellare ancora con le dita. Ha ragione lui. È irritante.

In questo corridoio ci siamo solo io, lui, altre due ragazze ed un ragazzo. Siamo seduti uno accanto all'altro.

Mi chiedo ancora come sia stato possibile farmi mettere in mezzo in questa situazione con queste persone. Io non ho mai avuto a che fare con questi qui. Io sono diversa.

Lo sono davvero?

Non so più niente in questo momento. So solo che io sono stata messa in mezzo. Per quanto riguarda gli altri, beh...non lo so. Ma posso parlare per me stessa.

È quello che farò. Mi difenderò. A ognuno il suo. In fondo, ragazzi come loro hanno sempre preso in giro ragazze come me. Perché dovrei difenderli? Loro non lo farebbero.

Mi volto ancora una volta a guardarlo. Il suo profilo è quasi geometrico. La mandibola tagliente è contratta.

Già. Loro non lo farebbero.

Un cigolio ci costringe a voltarci tutti nella stessa direzione. La porta si apre.

Un uomo sulla quarantina si posiziona davanti a noi ed incrocia le braccia muscolose. Ha i capelli molto corti, biondi, e due piccoli occhi azzurri ridotti due fessure. La barba è stata appena fatta, ha un aspetto pulito ma incute un certo timore.

Sulla camicia azzurra tiene in bella vista il suo distintivo. A giudicare dallo scintillio che emana, direi che lo lucida spesso. Sicuramente prende molto sul serio il suo lavoro.

-Tu, rossa-, dice. La sua voce è calda, grave. Il pavimento sembra vibrare, tanto forte appare il suo tono che interrompe il silenzio assordante in questo corridoio lungo e deserto.

Deglutisco. Intanto, sento che lui mi guarda. Mi guardano tutti. Hanno paura.

Mi alzo i piedi, con le braccia strette in grembo e le spalle tese. Lo guardo, ma non riesco a rivolgere il mio sguardo verso i suoi occhi. Mi concentro sul suo naso aquilino, sperando che non se ne accorga.

-Entra-.

A piccoli passi, mi dirigo verso la porta alle sue spalle. Non mi volto, ma lo sento parlare con gli altri ragazzi ancora seduti su quelle sedie fredde e metalliche.

-Rimarremo qui per sempre, se necessario. Qualcuno di voi ha a che fare con ciò che è successo, e siate pur certi che scoprirò chi-.

Detto questo, posa una mano sulla mia schiena per invitarmi a proseguire.

Io non centro nulla. Non ho fatto nulla. Credo che nessuno di noi abbia davvero avuto un ruolo in questa storia.

Siamo stati incastrati...io di sicuro.

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