5. Solo tre parole

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Cammino nel corridoio con la mappa in mano. Vado un po' di fretta, il mio ritmo è veloce e per la foga rischio di far cadere le cose dalla mia borsa.

Scarlett è uscita prima di me. Ha detto di aver bisogno di almeno due caffè per riprendersi dopo la festa di ieri sera. Aveva un aspetto orribile, ma ho evitato di dirglielo.

-Ehi!-, sento dire alle mie spalle.

-Buongiorno, James-, rispondo accennando un sorriso.

James mi raggiunge ed inizia a camminare assieme a me.
-Gareggi per una maratona?-, domanda scherzosamente.

-Sono in ritardo-, rispondo senza nascondere un tono agitato.

-In quale classe devi andare?-

-L'aula 5B-

James rallenta e si mette a ridere. Mi fermo e mi volto verso di lui, confusa. Alzo un sopracciglio in attesa di una spiegazione.

-Ecco...è la classe dove il mio amico ti ha fatto entrare per scherzo-.

Arriccio le labbra e alzo gli occhi al cielo, senza riuscire a trattenere un sorriso.

Riprendiamo a camminare.

-Stai tranquilla-, mi dice. -Il professor Sanders è un uomo alla mano. Sa stare agli scherzi-.

Quando mi trovo davanti all'aula, guardo James e gli sorrido per salutarlo mentre mi scontro con tutti i ragazzi che stanno entrando dalla porta.

-Sai...-, dice, appoggiandosi al muro.

-Cosa?-

-Hai degli occhi molto belli-.

Sento le mie guance diventare calde. Abbasso lo sguardo, imbarazzata.
-Sono...dei semplici occhi marroni-.

-Non capisco perché chi ha gli occhi castani crede sempre che siano "semplici". Sono profondi. E i tuoi...sono comunicativi. Dicono molto su di te-.

Non so cosa rispondergli. Sono colpita dal suo spirito di osservazione, e sento che inizio ad affezionarmi a lui. È come se ci conoscessimo già da tempo.

-Ti ringrazio-, mormoro, prima di entrare.

James mi blocca, poggiando una mano sulla mia spalla,

-Ti va se ci vediamo un giorno di questi? Sai, per stare un po' insieme. Da soli. Se ti va...-

-C...credo sia...ok. Si, va bene-, rispondo goffamente. Sorrido e subito dopo sfuggo alla sua presa, intrufolandomi rapidamente nell'aula.

Sono così nervosa! Ma con James mi sento a mio agio e...forse riuscirò ad abbattere quel muro che con tanta fatica sono stata costretta a innalzare attorno a me.

Mi metto a sedere piuttosto lontana rispetto alla postazione del professore. Spero di passare inosservata almeno il primo giorno ed evitare di farmi notare come ieri.

C'è un gran trambusto. Accanto a me si siedono due ragazze, ma non sembrano intenzionate a scambiare quattro chiacchiere. Me ne sto sulle mie, tamburellando con le dita sul tavolo mentre mi guardo intorno. Mi sento spaesata, ma forse è solo un po' di ansia.

Quando il professore fa il suo ingresso, il volume del mormorio di sottofondo si attenua, ma non cessa del tutto. Lui posa rumorosamente la sua ventiquattr'ore sulla scrivania, con un clic sgancia le due sicure e afferra il portatile. Maneggia un po' con dei fili, dopodiché si ferma e ci osserva a braccia conserte.

-Buongiorno!-, dice poi a gran voce. Tutti si zittiscono e ricambiano il saluto.

-Benvenuti. Sono Mark Sanders, professore di lettere e psicologia. Alcuni di voi mi hanno conosciuto ieri durante la lezione introduttiva di letteratura-, sorride, -altri mi vedono oggi per la prima volta. Voglio dirvi già da ora che il rapporto che desidero avere con voi sarà informale e colloquiale. Esigo solo il rispetto, così come io lo darò a voi. Per il resto...siate liberi di prendermi per il culo, perché io non sarò da meno-.

Si solleva una risata generale. Sono nervosa, ma accenno comunque un sorriso.

Il prof continua.
-Essendo oggi il primo giorno, non voglio terrorizzarvi con paroloni da uomo di cultura o crearvi crisi esistenziali traumatiche-. I ragazzi ridono ancora. -Ma voglio imparare a conoscervi meglio. Voglio entrare nelle vostre teste, voglio vedere il modo in cui azionate il cervello. Per questo, oggi, vi farò una sola e semplice domanda-.

Il signor Sanders afferra un telecomando ed accende il proiettore collegato al pc. Sul grande schermo bianco alle sue spalle appare una semplice frase nera su sfondo bianco:

Tre parole

Il professore scruta i nostri volti. Ha l'aria incuriosita e sembra colpito. Credo che sia una persona ossessionata dall'inquadrare a pieno ogni individuo che si trova davanti.

-Tre parole...voglio che le usiate per descrivere voi stessi. Solo tre semplici parole. Esigo che siate onesti con voi stessi. Non pensateci troppo...-.

Una mano si alza. È una ragazza bionda seduta in prima fila. La riconosco dalla voce: è Amber.

-Dobbiamo scegliere difetti o pregi?-

Il professore sorride, pulisce gli occhiali con il lembo della giacca e subito dopo li rimette sul naso. Guarda la ragazza e dice: -Non sono io a doverglielo dire, signorina Jonson-.

Amber non dice nulla. Forse sperava in una risposto più utile.

Ascolto attentamente ciò che dicono gli altri studenti, anche se non credo che abbiano preso sul serio il compito. Utilizzano parole banali, quasi nessuno di loro nomina un difetto e ci mettono molto tempo per arrivare ad una decisione. Vi è totale assenza di spontaneità.

Dubito che il signor Sanders intendesse questo. Eppure lui non commenta. Non emette fiato, annuisce ad ogni intervento e passa alla prossima mano alzata.

Il rumore della porta che si apre e si richiude interrompe per qualche secondo la lezione.

Ad entrare sono il bulletto che ieri ho visto in mensa, seguito a ruota da Amy, la stronzetta dello stand sugli strumenti. Non salutano, non dicono nulla. Si siedono in fondo alla classe, nel buio, e li rimangono. Mi volto e torno a seguire la lezione.

Quando le mani alzate terminano, il professore decide di chiamare tutti coloro che non hanno parlato.

Quando chiama Amy, le parole che fuoriescono dalle sue labbra sono "Disinteressata, annoiata, impaziente di uscire da qui".

Alzo gli occhi al cielo. Sanders sorride e prosegue.

Ad un certo punto, mentre è chiaro che il professore ha rivolto il suo sguardo verso di me, un ragazzo mi salva.

-È finita l'ora prof. Ci si vede!-, grida.

Tutti gli studenti si alzano, salutano ed escono frettolosamente dalla classe. Io inizio lentamente a raccogliere le mie cose.

-Signorina Laurence-, dice il signor Sanders coperto dai rumori di fondo. -Lei non ha parlato. Mi faccia sapere...sono curioso. Anche lei, signor Pacey-. Si rivolge al ragazzo seduto accanto ad Amy, l'unico oltre me a non aver proferito parola.

Annuisco al professore ed esco dall'aula, ma la domanda continua a ronzarmi nella testa.

È davvero possibile racchiudere l'essenza di una persona in tre parole?

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