Cap.25 ("Carillon")

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"Oggi non so chi sono, ieri nemmeno.
Tra tutte le persone
solo tu mi conosci davvero.
Quant'è difficile riuscire a camminare senza farsi male quando
sulle spalle hai un mondo intero."

Le lacrime mi appannano la vista,
mentre le condizioni fisiche e mentali iniziano a peggiorare.
Con gli occhi chiusi respiro velocemente, ansimando ed emettendo una specie di verso stridulo ogni volta che un po' d'aria mi entra nel corpo.
Adesso non mi tremano solo le gambe, ma tutto il corpo. Sento i piccoli muscoli di Anita, appoggiata alla mio petto, irrigidirsi e in un istante ne perdo il contatto fisico perché scappa in avanti, lontana da me.

Il desiderio di gridare a gran voce è tanto, ma le parole continuano a morire sulle labbra.
Inizialmente ho cercato di rifiutare di credere a quello che avevo visto, ho provato a chiudere gli occhi per scacciare via quelle lacrime ed immagini.
Ma quando li ho riaperti, purtroppo è tutto vero.

Lui è in piedi, sopra Fabrizio, gli occhi dilatati, il respiro corto e pieno di energie e la pistola è stretta ancora nella mano destra, ma ciò che più mi fa gelare il sangue nelle vene è il suo sorriso, compiaciuto.
Perde leggermente l'equilibrio quando Anita si insinua correndo a perdifiato tra i due corpi, spingendolo via per lanciarsi su Fabrizio e iniziare a colpirlo,
con le manine chiuse, sul petto.

-Papo! PAPO! SVEGLIATI!-

E inerme nel subire quella scena, non posso fare a meno di pensare che non ci sia nulla in questa storia di dannatamente giusto, niente è al suo posto, nemmeno io.
Tante lacrime mi bagnano il volto,
quando vorrei provare ad urlare un lampo di luce mi interrompe, spaccando la testa a metà e il respiro, inevitabilmente, si accorcia al suono di quei 'papà' urlati nel vuoto.

"Ero arrivato a Roma quando non avevo voglia di continuare la mia vita,
l'idea era quella di lasciarmi un passato oscuro alle spalle che, invece, continuava a perseguitarmi.
Non conoscevo niente e nessuno,
sentendomi sempre il tassello in più di un puzzle che veniva risolto anche senza di me.
Fu una mattina d'autunno che conobbi Mike e con lui iniziai a far maturare dentro di me, per la prima volta, il 'sentirsi a casa'. "

È che con quelle manine che scuotono il suo petto, è con il suo respiro corto ed il suo entrare ed uscire dallo stato di incoscienza per il fatto di star perdendo molto sangue,
è che il solo sapere di aver bisogno di lui,
è con quello che tanti pensieri e luci mi riempiono la testa.
Luci che si avvicinano, ma che non riesco ancora a raggiungere del tutto.

Vivere un'infanzia come la mia non ti fa credere nell'amore o in qualsiasi altra simile forma di affetto. Per me era il divertimento ad alimentare le mie giornate che,
potevano definirsi, soltanto vuote e fredde.
Poi una sera...

-Fabri..non mi lasciare..-

Devo mettermi a gridare, questo è ciò che continuo a pensare tremando, ma non sono solo le gambe a tremare, i polmoni mi bruciano e il cuore mi batte forte.
È solo il terrore a farmi muovere e a farmi sussurrare quelle flebili parole.

"Voglio ventiquattro ore,
ma tu non chiedermi il perché.
Ventuno delle quali, sai,
ti porterei con me.
Un'ora con gli amici,
un'ora con i miei cari,
un'ora per pensare alle ventuno
prima insieme a te. "

Lei alza la voce, la alza di più e riesco quasi a sentirla scomparire dalle sue piccole corde vocali.
Quasi gli sbraita di svegliarsi e lo strattona non ho più nulla di cui parlare, appoggiato a quel pilastro, in silenzio, ascolto il suo continuo urlare che suona contro le mie orecchie e, addosso, inerme mi lascio scorreree ore e i pensieri per questo tempo che sembra non finire mai.
E mentalmente soltanto 'scusa' ripeto come un mantra, non lo tocco, ma soffro con lui provando la sua stessa agonia mentre un coltello troppo grande continua a trafiggermi il cuore.

Io mi ricorderò di te. |MetaMoro|🥀Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora