Cap 26

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Connie riuscì a tenere il cagnolino, e contrariamente a quanto si aspettava, la madre acconsentì subito. Decidemmo il nome, e alla fine lo abbiamo scelto...

-Zoe, vieni qui!-

Corse scodinzolando da Connie. Le mise il guinzaglio e uscimmo da casa sua. Stavamo andando in centro a farle fare una passeggiata, e anche per uscire con amici. O meglio, con suoi amici. Io non ne avevo. E non uscivo da tanto tempo con un gruppo. Un motivo in più erano i tagli. Erano tanti. Erano troppi. Come me. Mi sentivo di troppo a uscire con loro.

Ormai la mia ragazza mi teneva sempre per mano dal braccio sinistro, quello dove ci sono i tagli, perché dice che così lei è in "profonda connessione" con il mio dolore. Dice sempre così. E io non la capisco mai.

Di solito tenevo le maniche arrotolate sul gomito, lo facevo sempre. E dire sempre, è dire sempre. Ma non lo facevo più.

I miei stati emotivi si alternavano. Da felice diventavo triste. Per qualsiasi cosa. Per esempio, per sbaglio in cucina ruppi un bicchiere, e mia madre si arrabbió tantissimo, e so che può risultare strano, ma io mi sentii addosso veramente il peso di aver rotto quel bicchiere. Una cosa così poco importante mi faceva star male.

L'altra sera l'ho passata sul balcone, al freddo, non curante della possibilità di prendermi un accidenti. Poi mi guardai allo specchio, e non mi riconobbi. Il braccio era tetro, mi spaventava. Mi scesero delle lacrime, ogni volta mi pentivo. È sbagliato pensare che una cosa così piaccia a chi lo fa. Non è così. O almeno, non per me. Non mi piaceva. Vorrei che non fosse mai accaduto, forse sarei una persona migliore.

Per questo quella sera ero nervoso, quei pensieri li avevo stampati in mente, come le gif di tumblr non volevo che gli altri se ne accorgessero. Mi sentivo a disagio con troppe persone. Eravamo in tutto cinque. Giungemmo alle presentazioni. Erano due ragazzi e una ragazza. Erano simpatici, e lo ero anche io.

Alla fine il clima è diventato più "di confidenza" ci siamo divertiti a uscire con Zoe al guinzaglio e gli amici di Connie. Ci siamo presi un panino e ci siamo seduti sul marciapiede vicino alla piazza principale della mia città. Di solito qui si radunano turisti e ragazzi. Si mescolano le culture, e alla fine ne escono sempre quattro parole, un sorriso o una risata.

A fine serata, accompagnai Connie a casa. Presi il pullman con lei, e mentre il bus arrivava alla sua fermata, prima che lei possa scendere le chiesi se voleva che la accompagnassi sotto casa. Lei rispose:

-No grazie ,veramente sono arrivata, giusto quattro passi.-

-okay-

-ehi, ti sei divertito?-

-si, sono simpatici-

-già, e vero!-

Mi prese le mani, e mi guardó dritto negli occhi. Le sue pupille brillavano sotto le luci fioche dei pali della luce, che passavano attraverso le finestre del pullman.

-sei il mio angelo-

-e tu sei il mio paradiso-

Posai le mie labbra sulle sue, stringendola forte a me. Non ero molto emotivo, non ho mai espresso troppo i miei sentimenti, ma ciò non significa che non ne provavo. Ma le mie labbra dicevano: io ho bisogno di te. E le sue dicevano lo stesso. Ogni volta che cadevo, lei mi tirava su. Sapere di non essere soli a questo mondo, si, è una sensazione meravigliosa.

Il "musicista"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora