17.

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"Prendi fiato e ricomincia"

"Mia cara Amy. Come stai? È da tempo che non ci sentiamo"afferma quella voce con il suo solito tono: una finta dolcezza. Deglutisco mentre continuo ad ascoltare, perché è solo questo che posso fare. Che devo fare. "Mi sei mancata sai? Sei mancata anche al mio locale, sono mesi che gli stessi clienti mi chiedono di te. Ci possiamo incontrare domani mattina per accodarci?".

Regalando un finto sorriso agli altri che mi stanno guardando, esco un attimo in giardino.

"Incontrarci per cosa?! Il prezzo che per voi dovevo pagare l'ho scontato. Adesso lasciatemi in pace" ringhio una volta fuori casa.

"Ehi bocconcino, risparmia le forze per provare a cambiare qualcosa, sai perfettamente come funziona. Ci vediamo domani mattina al solito bar, per le nove. A domani" detto ciò attacca.

Chiudo gli occhi, lanciando il telefono sul prato con forza. Lacrime amare scorrono sulle mie guance pallide, avendo la consapevolezza di dover rivivere ciò che ho concluso solo sei mesi fa.

Le immagini tornano da sole,di un passato che vorrei cancellare dalla mia esistenza, senza che io possa fermarle o senza che io possa decidere di non riviverle...Quattro anni fa conobbi un ragazzo, Cameron Lee, un ragazzo angelo in apparenza, diavolo in natura. Lui fu la prima volta in tutto ed ero così tanto felice, che quello che mi si presentò davanti poi, ho creduto ad un tratto che fosse solo frutto della mia immaginazione. La nostra storia durò due anni e mezzo: lo lasciai io, dopo che le sue mani mi avevano toccata in modo in cui nessun uomo dovrebbe mai toccare una donna e dopo essere andato a letto con altre ragazze. Il padre, proprietario di uno strip club, immaginando già di programmare un matrimonio, nonostante io e Cameron avessimo solo diciassette anni, non condivise questa decisione e dopo aver provato mille volte a ritentare in una rappacificazione, cominciò a darmi la colpa di tutto e di dirmi che se il figlio soffriva era solo colpa mia, quindi mi fece un compromesso: andare a lavorare nello strip club per tenere la mia famiglia al sicuro. "È la scelta migliore" aveva detto e così da quel giorno, maledico ogni sera la famiglia Lee, per avermi complicato ancor di più la mia vita, essendo complicata già di suo.
A mia madre e Paul, non dissi mai il vero motivo per cui tutti le notti non c'ero: mi ero inventata di aver trovato un lavoro notturno in discoteca, che mi permetteva di potermi concedere tante cose.
Ogni volta che mettevo piede sul quel palco con tutti gli occhi puntati addosso, mi sentivo ancor più nuda di quanto non lo fossi già nel mio orario.

Improvvisamente il cellulare si accende per l'arrivo di un messaggio e asciugando le lacrime, corro a prenderlo.

È Cole.. A proposito di Cole, cosa gli dirò?

"Amy" i miei pensieri vengono interrotti dalla voce di mia sorella, che mi guarda dalla porta-finestra.

"Pepe" dico facendo un piccolo sorriso.

"Non mangi più?"chiede guardandomi.

"Certo. Ero uscita, per ascoltare meglio la telefonata" le mostro un sorriso "Adesso vi raggiungo okay?".

Dopo avermi sorriso e contemporaneamente annuito torna dentro, mentre io stropicciandomi la faccia, rispondendo al messaggio di Cole, in cui mi chiede di uscire il giorno dopo. Dopo aver stabilito di vederci la sera, rientro in casa.

"Eccomi. Scusate, non sentivo bene" dico, appoggiando il telefono sul comò e sedendomi a tavola.

"Tranquilla. Tutto bene?" chiede mia madre, scrutando il mio volto.

"Si.. Mi sono emozionata per una cosa che mi ha detto Et" mento, sminuendo il tutto con la mano.

Mi guarda ancora titubante, ma non insiste e proseguiamo la cena.

Mentre mia sorella ride per le facce buffe che Paul le fa, mia madre che li guarda e si innamora per l'ennesima volta del suo uomo, mi accorgo di quanto la mia famiglia mi sia mancata e della sua forza, capace di farmi sorridere nonostante tutto.



La sveglia, il mattino successivo, suona troppo presto: la prendo e la lancio in un angolo della mia stanza.
Bene.. mi toccherà comprare anche un altra sveglia..

Mi metto seduta stropicciandomi gli occhi, avendo dormito sì o no due ore, tra l'ansia e gli incubi che rubavano la scena ai miei dolci sogni. Per l'ennesima volta.

Appena mi accorgo dell'orario strabuzzo gli occhi, essendo in netto ritardo. Lui odia i ritardatari.

Tra una corsa e l'altra riesco ad arrivare alle nove e in punto al bar. Ed eccolo lì, nello stesso posto in cui lo incontrai la prima volta, con il solito giornale in mano e gli occhiali da sole ancora indossati ;  alto e magro, John Lee, può sembrare un povero e dolce vecchio, che non sa che farsene del poco tempo rimastogli a disposizione. Ma ,purtroppo, lui sa benissimo come sfruttarlo.

Mi avvicino a passo felpato e in modo sicuro, e i suoi occhi si posano su di me, non appena il tacco delle mie scarpe, raggiunge il suo campo uditivo.

Sorride in quel modo inquietante e viscido, da far venire nausea e timore a chiunque.

"Lee" saluto educatamente.

"Bocconcino" mi saluta, mentre sfila i suoi occhiali e gli occhi dello stesso colore di quelli di suo figlio, mi investono in un ricordo fastidioso e senza senso. Alzo gli occhi al cielo. "Prendi qualcosa?".

Nei suoi occhi passa una scintilla di malizia e chiudendo gli occhi, respiro, cercando di calmarmi.

"No grazie John, vorrei evitare di aumentare la nausea che mi provoca la tua faccia di merda in questo momento" affermo regalandogli un falso sorriso.

Lui mi regala un mezzo sorriso e finisce di bere il suo caffè. "Allora, ti sono mancato?".

"Ho immaginato più volte ti prenderti quella faccia da cazzo e sbattertela più volte al muro, per poi lasciarti morire in silenzio e da solo" dico guardandomi le unghie "Vuoi ripetermi la domanda?".

"Te la ripeterò quando ti vedrò soddisfatta di tutti i soldi che guadagnerai" afferma lui, sistemandosi la camicia.

"Nella vita non contano solo quelli" affermo, alzando gli occhi su di lui.

"Ricordi ancora l'orario?" chiede mentre io mi domando se il mio destino sia già scritto: non ho avuto fortuna con mio padre da piccola, non ho avuto fortuna con il mio primo ragazzo e nemmeno con il mio primo ipoteco suocero. Non ho avuto fortunata con il genere maschile.

"Tornerò a lavorare da te con una condizione" dico, sistemandomi i capelli.

Lui scoppia a ridere e scuote la testa. "Non sei nella posizione per chiedere condizioni".

"Ah ma davvero? Pensi che io sia così stupida da non capire perché tu mi abbia ricontatto? Nessuna delle tue lavoratrici, si muove e scopa meglio di me e tu lo sai benissimo. Da quando me ne sono andata le cose sono cominciate a degenerare, non è così Lee?" chiedo facendo un sorrisetto vedendo la sua faccia cambiare espressione "Quindi ho ascolti e accetti la mia condizione o altrimenti te ne vai a fanculo te, il tuo posto di merda, frequentato e diretto da altrettanta merda".

"Ascolto la tua condizione"afferma, guardandomi con odio.

"Tu vuoi gestirmi, ma non ci riuscirai mai e tu ciò non lo accetti, ma ti converrà incominciare a farlo. Non dovrai dirmi con chi scopare, anzi facciamo proprio che non scopo con nessuno. Ballerò, infondo mi piace farlo, ma la mia figa non sarà disponibile ad essere riempita da nessuno. Tutto chiaro?".

"Eppure godevi quando i miei clienti ti scopavano" afferma lui, dopo aver annuito, accettando ogni mia richiesta.

Scoppio a ridere. "Signor Lee, pensavo che fosse almeno bravo a letto da poter distinguere un finto orgasmo, perché le posso garantire che quando godo sul serio, mi faccio sentire, ma a quanto pare la vita non l'ha graziata nemmeno su questo. Ci vediamo domani, alla solita ora. Buon proseguimento" detto ciò mi alzo, e lo lascio lì a guardarmi andare via, consapevole di tutte le parolacce da lui trattenute.

Eternamente noiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora