18.

141 11 4
                                    

Restart.

Ecco che cosa aveva subito la vita di Salvatore da quel fatidico giorno di due settimane fa, un ritorno all'inizio.

Camminava per quei corridoi a testa bassa, lo zaino sulle spalle e gli occhiali tondi posati delicatamente sul naso, cercando di passare quelle cinque ore il più in fretta possibile e senza nessuno che lo disturbasse.

Conclusa la mattinata scolastica, tornava a casa, iniziando a fare i servizi e aiutare la piccola sorellina nei compiti per casa, per poi prendere il suo computer portatile, buttarsi a peso morto sul letto e guardare quella miriade di pixel per ore e ore, fin quando il sole non scompariva dietro gli alti palazzi.

E così la giornata ricominciava, sempre la stessa e sempre piatta.

Sbuffò sonoramente, gettando con fare svogliato lo zaino sul suo banco, prendendo posto con fare silenzioso e prendendo le cuffiette bianche dalla tasca, sbrogliandole con fare attento e inserendole all'interno del telefono, estraniandosi completamente dal mondo, per poi fare l'unica cosa che riusciva a distrarlo.

Eravamo due colori, che ora il mondo ha perso.
Eravamo due stelle, che ora il cielo ha spento.
Eravamo un unico corpo, che ora il destino ha deciso di scindere.
Eravamo tutto, e come le farfalle che adesso volano veloci, siamo diventati niente.

Si tolse con fare veloce le cuffie, buttandole nella tasca e fissando quelle parole sul foglio: cariche di tristezza, rabbia e solitudine, spiccavano da quella pagina come spilli pronti a pungere.

E, come se il destino fosse un bambino dispettoso, a cui piace fare scherzi, il diretto interessato della poesia entrò da quella porta.

-Scusate professoressa, ho perso il pullman- affannò Stefano, camminando poi a testa bassa verso il suo banco, iniziando a disfare la cartella.

Se per Salvatore quei quattordici giorni erano stati duri, per il maggiore erano state due settimane d'inferno.

Dopo aver passato quelle cinque ore di tortura psicologica, usciva dalla classe a passo spedito, andando diretto verso la sua casa senza parlare con nessuno, chiudersi in camera sua e guardare il nulla per delle ore, assopito dalla nicotina che fuoriusciva sotto forma di fumo.

I sensi di colpa lo stavano divorando come un tumore inarrestabile: ogni minuto, di ogni ora, di ogni giorno la scena di quegli occhi nocciola bellissimi pieni di lacrime gli si parava davanti, e non importava quanto alcool bevesse la sera o quante sigarette consumasse, non se ne andava mai.

Anche in quel momento, seduto al suo posto con i libri davanti, poteva scorgere con la visione periferica il ragazzo minore, testa bassa e una matita in una mano, che la faceva girare con fare distratto e occhi velati da una sensazione che non riusciva a capire, e questo di certo non lo faceva stare meglio.

Lascia andare un piccolo sospiro, passandosi una mano fra i capelli nocciola, prima di guardare con fare distratto le formule di matematica che l'insegnante stava spiegando, non prestando assolutamente attenzione.

Non voleva continuare in quel modo; non voleva continuare a pensare a quel ragazzo, per poi ricordarsi che non poteva stringerlo fra le sue braccia, sorridere quando le sue guance diventavano rosate dall'imbarazzo, proteggerlo da tutti i mali di quel mondo, quindi si decise.

Gli avrebbe parlato quel giorno stesso, una volta finita la giornata, a tutti i costi.





Vieni fuori dalla scuola, devo parlarti urgentemente. Ci vediamo al muretto. -Stefano.

Questo citava il biglietto che gli aveva passato il minore durante l'ora di biologia, e che Salvatore non poteva smettere di rileggere mentre i suoi piedi si muovevano veloci, insieme ad una migliaia diretti, come lui, verso l'uscita mentre la campanella della quinta e ultima ora emetteva quel suo suono tipico suono metallico.

Mentre l'uscita si faceva sempre più vicina, e il muretto più nitido dietro quegli occhiali, la sua mente iniziò a giocare con lui;

Voleva andare lì? Cosa aveva da dire il ragazzo di tanto importante dopo due settimane? E lui, cosa più importante delle altre, voleva vederlo o sentirlo?

La risposta gli si fermò in gola quando vide una chioma castana sbucare fra un centinaio, splendida e lucente come un diamante al sole.

Mandò giù un groppo che gli si era formato, e a passo lento e testa bassa, si avvicinò al ragazzo.

-Vieni, preferisco parlare in un luogo più appartato- disse il maggiore, cacciando una piccola nuvoletta di fumo e buttando il mozzicone di sigaretta a terra con fare svogliato, allontanandosi da quel cumulo di adolescenti, arrivando all'altezza di un vicolo, sul quale appoggiò pesantemente la schiena.

-Non sapevo fumassi- constatò Salvatore, circondando le braccia al petto e guardando il ragazzo sul volto, provando a risultare quanto più serio possibile, anche se in presenza del maggiore era difficile; aveva una certa pressione di lui, anche se rimaneva in silenzio come in quel momento.

-Non sai tante cose di me Salvatore- sospirò pesantemente Stefano, alzando i suoi occhi versi in quel mare color nocciola del minore davanti a lui, per poi scostarlo subito,  inserendo le mani nelle tasche della giacca.

-E allora pa-

-Io ho ucciso una persona Salvatore-

Fra i due crollò un silenzio che dire tombale era usare un eufemismo; da un lato il minore era a dir poco scioccato, mentre il maggiore era semplicemente in silenzio, sentendo quelle parole così vere e taglienti uscire dalla sua bocca.

-Co...cosa?- chiese in un sussurro Salvatore, abbandonando quella maschera da finto duro, sgranando gli occhi fissati sul volto del giovane davanti a lui, in attesa di una risposta.

Che ottenne.

Stefano si passò una mano fra i capelli, occhi ora scuri fissi sul terreno umido di quel vicolo.

-Era la mia ex ragazza, Marina. Stavamo tornando da una vacanza di qualche giorno, e scoprì che si sentiva con un suo compagno di liceo- sbuffa una pesante risata, togliendo una mano dalla tasca mostrando un pacchetto quasi vuoto, prendendo con le labbra una sigaretta. -Iniziammo a gridarci contro, e non mi accorsi che una macchina ci stava per andare verso di noi, per poi scoprire che il conducente era ubriaco. Io mi ruppi un braccio e qualche altro livido, mentre lei...lei... Cristo santo- strizzò gli occhi il ragazzo, sentendo delle lacrime salate premere contro gli occhi, pronte a uscire -N-non voglio farti del male Salvatore, io-

Fu zittito dal tocco leggero del ragazzo sulla sua spalla, un gesto dolce e ritmico.

-Mi dispiace così tanto Stefano...- sussurrò dolce il minore, avvicinandosi al ragazzo -ecco perché reagisti così: avevi paura che possa succedere di nuovo giusto?-

Il ragazzo annuì in risposta, asciugandosi gli occhi con la manica della giacca da sotto gli occhiali.

-Beh... non sono bravo con le parole- ridacchiò ironico il ragazzo, passando la mano dalla spalla alla guancia del maggiore -ma ti posso giurare che quello è stato un caso Stefano, in più non  è stata colpa tua, ma dell'altro conducente... Tu mi piaci, davvero tanto, e non voglio che-

Questa volta fu lui ad essere zittito, ma non da una mano, bensì dalle dolci labbra del ragazzo sulle sue, in uno sfioramento appena percettibile e, in quel momento, le crepe sui cuori dei ragazzi iniziarono lentamente a chiudersi.

Poem|| SalvefanoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora