22.

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Erano passati sei giorni, ma per Salvatore sembravano cento anni.

Il tempo si muoveva inesorabilmente lento nella sua stanza, mentre fissava quelle pagine bianche da ormai qualche ora.

Era sempre riuscito a scrivere in quelle occasioni, aveva sempre fatto spargere i suoi sentimenti sotto forma di parole dolci e ricercate, eppure in quel momento era come se nella sua mente si fosse insinuato un blocco.

Deluso da se stesso, decise di uscire dalla camera per darsi una sciacquata nel bagno, un po' perché ne aveva bisogno e un po' per "rinfrescarsi" le idee.

Aprì la porta e si diresse verso il lavandino, alzando lo sguardo nel suo riflesso, sospirando pesantemente; sul suo volto candido campeggiava come una grande macchia tendente al viola, con attorno qualche sfumatura di giallo.

Si alzò la maglia, notando come quei piccoli lividi costellavano la sua esile figura, rendendolo simile a un cielo pieno di stelle.

Chiuse gli occhi per pensare, appoggiandosi con entrambe le braccia sul lavabo; in quei giorni aveva in continuazione al ragazzo più grande, ma tante altre volte aveva desistito.

Lo conosceva bene, a Stefano, sapeva che se l'avesse chiamato gli avrebbe chiesto di uscire, e non poteva farsi vedere in quelle condizioni.

Già una volta ci era andato vicino, e non poteva rischiare una seconda, non avrebbe incasinato anche la sua vita.

Erano suoi problemi, e in quanto tali, avrebbe dovuto risolverli con le sue stesse forze, senza chiedere un aiuto.

Come se qualcosa dall'alto avesse ascoltato i suoi pensieri, la fonte principale dei suoi pensieri entrò furibondo nella casa, sbattendo con violenza la porta.

"Dove sei moccioso!" Gridò il padre biascicando fuori le parole "vieni qui che devo darti una lezione!"

Come se non l'avessi fatto in questi giorni constatò fra se e se il ragazzo, scendendo lentamente le scale, per b poi la figura del padre, chiaramente ubriaco, a pochi metri da lui, come una statua imponente che sta per cadere.

"Sono qua Elpidio, dimmi cosa-" fu zittito da uno schiaffo che lo fece cadere sul pavimento.

"Quante volte ti ho detto che devi portare rispetto ragazzino?!" Gridò dall'alto il padre, prendendo un sorso di quella che doveva essere birra, ma che il ragazzo non sapeva riconoscere.

In quell'istante il giovane guardò il padre con attenzione, tornando con la mente ad anni prima.

Se avessero chiesto al Salvatore bambino com'era suo padre, avrebbe di certo risposto "un eroe, una persona su cui contare", insomma, tutte le cose che si attribuiscono ad un genitore degno di questo appellativo.

Ma si sa, la morte cambia le persone; c'è a chi le rende più forti, capaci di portare il mondo sulle loro spalle, e chi invece li distrugge, creando crepe che mai potranno risanarsi, finendo per ferire i primi.

E così era successo per il padre di Salvatore; una perdita che mai sarebbe riuscito ad attraversare.

"Guarda cosa sei diventato" biascicò Elpidio, finendo in un sorso quel liquido alcolico nella bottiglia di vetro verde "sei stato sospeso perché hai scopato a scuola, non ti fai schifo?!" E dopo quella frase seguì un calcio, e poi un altro, e un altro ancora.

Salvatore non reagiva, altrimenti avrebbe dovuto pregare a qualche divinità affinché uscisse vivo da quella situazione.

"P-papà... ti prego... mi-"

"Sta zitto!" alzò ancora di più la voce, lasciando cadere la bottiglia a terra prima di prendere il figlio per il colletto e sbatterlo contro il muro, facendogli mozzare il fiato in gola.

Ma non era quello il problema del ragazzo, il vero dramma era appena entrato nella casa, con sguardo terrorizzato e il piccolo zainetto rosa sulle spalle.

"Papà?" Chiese con una vocina timida, rimanendo sull'uscio della porta come pietrificata "perché gli fai del male?"

"Roberta..." sussurrò il ragazzo, dimenticandosi per un attimo del padre che ancora incombeva su di lui "vai in camera tua, vengo tra poco, va bene piccola?"

L'ultima cosa che desiderava era far assistere alla sorella a quello scempio; non voleva vedere come suo padre fosse in realtà, ma solo come glielo raccontava il fratello.

Come un vero padre.

"Ascoltami bene ragazzino" ghignò il padre, facendo tornare alla realtà il ragazzo "lei è mia figlia, e decido io se deve andare in camera o meno ok?! Tu non conti un cazzo!" E di nuovo il ragazzo fu a terra, mugolante dal dolore.

Ma quel dolore era nulla paragonato a quello che sarebbe accaduto di lì a pochi minuti.

"Non la toccare!" Gridò, stavolta, Salvatore, mentre lentamente si alzava da terra "Roberta non centra niente! Che cosa credi, che a me mamma non mi manca? Che non la piango ogni notte? Sai, ti consideravo un padre, io ti amavo come tale! E guarda adesso che sei diventato, uno sporco e schifoso ubriacone! Sai che cosa vuol dire a ventidue anni fare il padre e la madre per mia sorella?! No che non lo sai, e non lo saprai mai, perché tu non sei più un padre!"

Dopo quel monologo il ragazzo si ritrovò come senza fiato, l'adrenalina che girava nel suo corpo era l'unica cosa che gli permetteva di rimanere in piedi sulle sue gambe.

Il padre lentamente si girò verso il figlio, afferrando da terra il collo della bottiglia, ridotto ormai ad un insieme di vetro scuro e scheggiato.

"Sei sempre stato una delusione" tuonò con voce cupa Elpidio, mentre lentamente avanzava verso il ragazzo "sei sempre stato l'ultimo, in tutto. Non c'è mai stata una volta in cui potevo dire di essere fiero di te, mai. Poi, durante una cena con i parenti, hai ben deciso di dire che sei gay. Mi hai umiliato davanti a tutti, mi hai reso ridicolo... e adesso è arrivato il momento che paghi per questo!"

Salvatore non ebbe nemmeno il tempo di replicare, che si trovo il padre a pochi centimetri dal suo corpo, gli occhi iniettati di rabbia e il pezzo di vetro che lentamente si tingeva di rosso.

Poteva sentire la bambina urlare qualcosa e il padre rispondere a tono, ma il ragazzo non riusciva a cogliere neanche una parola di quel discorso.

Si accasciò a terra come una foglia, sentendo il petto incendiarsi ad ogni respiro, e il pavimento imbrattarsi del suo stesso sangue.

Con la vista che lentamente si offuscava, vide il padre uscire di casa sbattendo la porta, e due manine scuoterlo per tenerlo sveglio.

Voleva dirle che sarebbe andato tutto bene, che si sarebbe ripreso, ma dalla sua bocca uscì un piccolo rivolo rosso, che si andò a mescolare con la piccola pozza vermiglia.

Poteva sentire il suo telefono squillare con una suoneria che aveva imparato a riconoscere fin troppo bene: era quella che aveva impostato per Stefano.

Appoggiò la testa sul pavimento, e le ultime cose che sentì furono le grida disperate di una giovane voce che invocava il suo nome, prima di cadere nell'oscurità.







NA

Già, sono qui con un nuovo aggiornamento, e cazzo che ci è voluto per scriverlo lol

Poem|| SalvefanoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora