Era una giornata piovosa in quel di Milano, ma a Stefano non importava, perché il suono di quelle piccole gocce d'acqua fungeva da sottofondo per quella dolce serata.
Un film riprodotto da Netflix, una coperta che lo teneva al caldo e il ragazzo che amava fra le braccia; insomma, una serata perfetta con una compagnia perfetta.
"Stefano?" Chiese con un filo di voce il minore, richiamando alla realtà il ragazzo dai capelli nocciola, appoggiandosi alla sua spalla come se fosse la sua salvezza.
"Dimmi tutto piccolo" rispose con altrettanta dolcezza il maggiore, tracciando con un dito il volto chiaro e dolce di Salvatore, volendo imprimere quel momento nella sua testa.
Mai scelta fu più sbagliata.
Stefano abbassò lo sguardo sul petto del minore, che iniziò a grondare di sangue vermiglio, come un fiume che straripa dai suoi argini.
"Perché non mi hai salvato Stefano?" Ora il ragazzo piangeva, ma non lacrime normali; piangeva sangue, deturpando quel volto da angelo, trasformandolo più simile a una figura infernale.
Stefano scattò in piedi, terrorizzato da quella vista orrida e rivoltante, scappando verso la porta e correndo via da quell'incubo senza fine.
Stefano si svegliò di soprassalto, il fiato pesante come se avesse appena finito di correre una maratona e il cuore che batteva all'impazzata, come se di lì ad un attimo sarebbe potuto uscire dal suo petto.
Si guardò intorno, cercando di focalizzare la stanza in cui si trovava: pareti bianche senza nessuna decorazione, una grande finestra, che ora rifletteva le luci delle stelle alte nel cielo, un forte odore chimico e il minore steso su quel lettino, immobile come una statua di cera.
"Bene... un altro incubo" mormorò fra se e se tornando lentamente a quella realtà, avvicinandosi con la sedia al minore, guardandolo attentamente per cogliere ogni suo aspetto.
Il volto pallido, tipico di chi non riceve sole da molto, una maschera per l'ossigeno posata delicatamente sul suo naso e sulla sua bocca e il corpo completamente monitorato.
"Nove giorni..." constatò Stefano, prendendo una mano del ragazzo e stringendola nella sua; quel piccolo gesto lo faceva sentire al sicuro, come se non fosse in una stanza d'ospedale, affianco al suo ragazzo cadaverico.
"Sono passati nove giorni Salvatore... e non c'è ne stato uno in cui io non mi sono sentito in colpa" rise di se stesso e della sua stupidità, prima di continuare "come ho fatto a non capire nulla? Era così ovvio cavolo... Non mi hai mai raccontato della tua famiglia, eccezione fatta per tua sorella, anche con il caldo venivi sempre a maniche lunghe, immagino per coprire i lividi che quel mostro ti faceva".
Concluso quel triste e deprimente monologo, il castano alzò finalmente la testa, sentendo il suo cuore spezzarsi alla vista di quel volto, che solo fino a poche settimane prima gli sorrideva raggiante, come se il sole stesso gli avesse donato quella pura e semplice gioia, quel volto che lo guardava con puro amore e senza malizia, perché il minore non ne aveva mai avuta.
Quel volto, che adesso aveva perso tutte quelle dolci e magnifiche caratteristiche, rendendolo più simile a quello di una statua di marmo pario o a quello di una bambola, che anche con il minimo contatto si sarebbe distrutto in modo irreparabile.
Stefano non si accorse neanche che stava piangendo a quel punto, ma decise di non fermarle le lacrime; i medici che avevano in cura il minore più volte gli avevano detto che, con grandi probabilità, il ragazzo non si sarebbe mai svegliato da quel suo sonno eterno, che aveva perso fin troppo sangue e altri termini scientifici che Stefano continuava a negare.
STAI LEGGENDO
Poem|| Salvefano
Fiksi PenggemarParole dolci e melliflue, che toccano le corde dell'anima. Frasi scelte con cura, per ottenere una particolare tipologia di emozioni. Concetti semplici e diretti, per attirare, o concetti più lunghi e articolati, per ammaliare le persone. Chi l'avre...