Prologue

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"Allora, secondo i miei calcoli, il risultato è tre alla meno cinque, è corretto?"

"Veramente si dovrebbe trovare due"

Stefano alternò più volte lo sguardo dal suo quaderno alla persona al suo fianco, per poi sospirare pesantemente e far fare un volo al quaderno, che raggiunse con grande velocità la parete opposta della sua camera.

Erano passate due ore da quando aveva deciso di dare una ripassata al suo libro di algebra, ma il suo sguardo subito iniziò a vagare senza una meta fra quella miriade di numeri e lettere senza senso, e di certo le risate di Salvatore al suo fianco non aiutavano la sua concentrazione.

"Ehy, non è colpa mia se l'italiano si è mischiato con i numeri" tentò di difendersi il maggiore, ma mai usufruendo di un tono serio e dispregiativo, bensì con un sorriso sul volto che non accennava ad andarsene.

Da quando Salvatore si era svegliato, all'incirca da poco più di una settimana, le cose per la dolce coppia andavano a gonfie vele; il minore, ora con i capelli tinti d'oro ed insieme alla piccola sorella, convivevano insieme al castano nella casa dei suoi genitori, dato che tornare alla propria non era molto raccomandabile.

Dopo quello spaventoso e terribile accaduto, i due ragazzi iniziarono a ripararsi a vicenda, cucendo lentamente i lembi della loro vita strappati dall'ira dei propri genitori, più precisamente i propri padri.

"Ma non c'era bisogno, comunque, di lanciare il quaderno dall'altra parte della stanza" puntualizzò con tono arrendevole il biondo dei due, ottenendo in risposta un piccolo sbuffo e gli occhi alzati al cielo

"Invece che continuare con questo abominio stampato su fogli" incalzò Stefano, sistemando meglio le gambe sulla coperta per stare più comodo sul grande letto della sua camera "non pensiamo un po' a noi?"

Senza neanche rispondere a parole, entrambi i ragazzi si stesero sul letto del maggiore, l'uno intrecciato al corpo dell'altro in una dolce matassa.

L'aria dell'autunno, fredda ma non eccessivamente, entrava dalla finestra insieme ai raggi dorati del sole pomeridiano, riempendo quella stanza insieme ai sospiri dei due innamorati.

Tanto era passato da quanto Stefano e Salvatore erano abbracciati l'un l'altro, stretti in modo che il mondo non potesse colpirli, ecco perché nessuno parlò, preferendo quel silenzio a parole e discorsi; o almeno, questo era quello che pensava l'anima da scrittore di Salvatore.

"Sal?" Lo richiamò il maggiore, facendo in modo che il ragazzo poggiato al suo petto alzasse la testa, sorridendogli quasi come se fosse un gesto automatico.

Stefano si dovette prendere qualche attimo prima di rispondere; il sole con i suoi raggi illuminava il volto del minore quasi con precisione millimetrica, rendendolo simile ad un quadro di rara ed inestimabile bellezza e valore, in poche parole la perfezione.

"Ti amo... e questi giorni senza di te sono stati... orribili, non potevo minimante pensare di perderti" iniziò il discorso Stefano, sentendo un brivido dietro alla schiena al solo ricordo di quei terribili giorni passati in ospedale a sperare e pregare "ogni giorno ero affianco a te, e mi sentivo così male nel non poter fare nulla"

"Ste..." sussurrò il minore, prima di essere fermato dal ragazzo interpellato

"Tutti avevano perso le speranze, ma io no, e infatti ricordo ancora le lacrime quando ti svegliasti, e la prima cosa che feci fu sorridermi" a quel punto, una lacrima solitaria solcò il suo viso, ma non riuscì ad impedirgli di continuare "Ecco perché, da quel giorno, mi sono fatto una promessa; a costo di pagare con la mia vita, non ci sarà mai più una lacrima di tristezza sul tuo viso".

Quando Stefano finì il suo monologo, Salvatore si ritrovò a corto di parole; durante quel suo lungo sonno, non aveva mai potuto immaginare che il ragazzo fosse andato incontro a tanto.

Prese tutto il coraggio di cui era capace per non piangere, cosa che però non funzionò quando il suo ragazzo gli premette il volto contro il proprio petto in un dolce gesto d'amore.

"T-ti amo co-così tanto" singhiozzò a denti stretti il minore, serrando fra le mani il tessuto della maglia di Stefano "co-come potrei fare se-senza di te..."

E lo pensava veramente. Senza quel dolce ragazzo dagli occhi scuri, molto probabilmente a quell'ora non sarebbe stato neanche lì, ma ancora steso nel proprio letto d'ospedale, a sperare in una vita migliore.

E con il sole che gli baciava la pelle, e l'amore che invece volteggiava nell'aria, i due ragazzi si addormentarono, l'uno fra le braccia dell'altro.



Scese la notte in quel di Milano e, come sempre, il sonno non riuscì a prendere fra le sue braccia Salvatore, seduto alla scrivania del ragazzo, i raggi della luna che filtravano dai fori delle persiane e il quaderno davanti a lui, quello da cui tutto ebbe inizio.

Sfiorò la copertina con i polpastrelli, sentendo un sorriso nascere sul suo volto a quella sensazione così lontana ma familiare allo stesso tempo, come il ricordo sbiadito di una foto.

Una volta che quella piccola agenda fu aperta, un fiume di parole, e ricordi, ripiombò nella mente del ragazzo, così tante e così diverse che quasi gli fecero male; i periodi neri in cui la mancanza della madre si faceva sentire, le prime occhiate lanciate di sfuggita a quel nuovo ragazzo, il primo amore e le prime delusioni di cuore, tornando poi lentamente a fiorire.

Si prese un lungo attimo per osservare quella moltitudine di parole scritte su carta; ognuna di esse aveva una storia, un motivo e uno scopo, quello di non dimenticare e di non far dimenticare il suo passato.

Prese una penna e girò il quaderno fino a trovare una pagina vuota, ma prima di scrivere, girò il suo volto verso il bello addormentato dietro di lui.

I capelli castani che gli ricadevano dolcemente sul naso, le ciglia lunghe gli conferivano un aspetto dolce ed elegante, mescolato insieme alla luce della luna, che creava sul suo volto un insieme di giochi che comprendevano luci ed ombre, rendendo il ragazzo simile ad un quadro di arte moderna.

Salvatore gli sorrise dolcemente, sapendo in cuor suo che non l'avrebbe visto e tornò ad afferrare la penna, sentendo l'ispirazione scorrere dentro di se.

Oh ragazzo della luna, non piangere
Quando ella sorgerà, arriverà il tuo turno
Oh ragazzo della luna, non piangere
Non credere di essere solo,
in quella coltre di stelle brillanti.

Oh ragazzo della luna, non piangere
E ricorda che l'amore è un labirinto;
Forse l'uscita non sarà facile,
E nel percorso tante maschere indosserai
Ma all'uscita di quel groviglio
Il "negozio magico" si aprirà,
Conducendoti alle vie del mio cuore.

Oh ragazzo della luna, non piangere
Credendo che non renderai felice nessuno
Perché tu, o ragazzo mio,
Sei la causa della mia euforia,
Sciogliendo come in primavera,
Il giacchio nel mio cuore.

Decise, quella volta, di non rileggere la sua poesia; quelle parole erano dettate dal cuore, e quest'ultimo raramente sbaglia.

Si alzò dalla sedia e si diresse verso il balcone del ragazzo, venendo ben accolto da quella frescura autunnale.

I suoi andarono al cielo, a quella coltre di stelle che tanto aveva inneggiato, e sorrise a quella stella su cui aveva versato tante lacrime.

Cosa che, stranamente, non fece.

Sul suo volto si dipinse un dolce sorriso, sapendo perfettamente cosa voleva significare.

Per tanti anni aveva pianto guardando quella figura stellata in cielo, ricordando tutto ciò che aveva perso; in quel momento però, gli ricordò tutto ciò per cui aveva lottato e aveva ottenuto.

Ecco perché, quella notte, Salvatore non pianse guardando il cielo.

Poem|| SalvefanoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora