25.

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Stefano odiava passare la sua giornata senza Salvatore.
Odiava svegliarsi, e non vedere nessun messaggio, nessun buongiorno di quel piccolo ragazzo, odiava doversi alzare dal letto e andare in quell maledetto carcere, conosciuto meglio come scuola.

Dopo dieci giorni il preside del liceo chiamò a casa del ragazzo dagli occhi cangianti per revocare la punizione e dargli la possibilità di tornare a seguire le lezioni regolarmente, e Stefano non poteva esserne meno felice. Avrebbe tranquillamente passato la sua giornata affianco al minore, ad accarezzargli dolcemente la mano e pregare che si svegliasse.

Ma così non era, e lui adesso si trovava seduto al suo posto, il quaderno aperto davanti a se ma senza alcun appunto sopra.

Quando era entrato in classe da solo, un sottile mormorio sommesso si levò dai suoi compagni, come se avessero paura di alzare la voce ma non riuscivano a rimanere in silenzio, cosa tipica degli adolescenti.

A Stefano quelle parole non toccarono affatto, aveva ben altri pensieri per la mente, e uno di quelli era appena entrato dalla porta.

"Mi scusi per il ritardo professoressa" si scusò Sascha con strana gentilezza, mentre prendeva posto al suo banco, posto accanto a quello del nocciola ma in una fila diversa.

Stefano non poteva crederci; dopo tutto quello che aveva causato, quello stupido, per non usare un linguaggio scurrile, di un ragazzo dai capelli neri aveva la faccia tosta di tornare nella scuola, come se niente fosse.

La sua mascella s'irrigidì e le sue mani si strinsero in due pugni da sotto il banco, se ne avesse avuto la possibilità, gli avrebbe fatto assaggiare la sua stessa medicina lì, in quel preciso momento e luogo.

Il bruno fissò il ragazzo per un tempo che sembrava infinito, finché il corvino sentendosi osservato non ricambiò lo sguardo; nei suoi occhi nocciola non c'era traccia di tristezza o pietà, ma solo furbizia e pura cattiveria.

Il quel momento il cervello di Stefano scattò; si alzò di scatto dal banco procurando un rumore sordo che fece girare tutta la classe, incluso la professoressa di italiano, verso la sua figura.

"Scusatemi tanto prof" disse cercando di suonare il più calmo possibile, atteggiamento tradito dal suo corpo chiaramente sotto tensione "ma io e Burci dobbiamo fare delle fotocopie per il professor Sangster" e senza lasciarle tempo di replicare, uscì dalla classe come una furia, seguito da un rumore di passi pesanti di lui, cosa che lo fece accelerare dritto fino agli spogliatoi.

Ironico, tutto si sarebbe risolto da dove è cominciato.

Appena il corvino si chiuse la porta alle spalle, subito si ritrovò con la schiena premuta contro di essa, e un Stefano a dir poco furioso che lo reggeva per le spalle.

"Ascoltami bene razza di stronzo" ringhiò come se fosse un cane rabbioso il minore, guardandolo con puro fuoco negli occhi "non so a quale caspita di gioco contorto e stupido tu stia giocando ma-"

"Che cosa ti fa credere che io stia giocando Stefano?" Domandò Sascha con tranquillità quasi surreale, sapeva di avere il coltello dalla parte del manico e poteva far di quel castano tutto quello che voleva.

Ma per Stefano quella finta arroganza non fece altro che gettare benzina sul fuoco che rodeva dentro di lui, facendo diventare un'incendio indomabile. Si staccò dal ragazzo con uno strattone, sapendo bene che se fosse rimasto anche un solo secondo in più vicino a lui, avrebbe dovuto vedersela con la polizia per omicidio volontario.

"Ascoltami bene Burci" iniziò il minore, puntandogli un dito contro "Quello che c'è stato fra di noi è solo stata una relazione di un'estate, niente più"

"Non è vero, ci amavamo seriamente" stavolta era Sascha ad incominciare a perdere la lucidità.

Stefano si ritrovò senza parole; com'era possibile che da una sola persona potessero uscire così tante cagate? Scoppiò in una fragorosa risata che sapeva di amaro, cosa che non piacque molto al maggiore.

"Una cosa seria?" Disse fra quelle poco lucide risate, mentre iniziava a camminare avanti e indietro per quella piccola stanza, sentendo il bisogno impellente di calmarsi. "Talmente tanto seria che quando te ne sei tornato a casa tua non mi hai neanche degnato di chiamare, e adesso chissà come ci ritroviamo nella stessa classe!"

"Se non fosse stato per quel cavolo di secchione..." mormorò fra i denti, ma per sua sfortuna, non ad un tono così sommesso che il ragazzo dagli occhi cangianti non potesse carpire.

Come se fosse una saetta durante un temporale estivo, così potente e al col tempo veloce, si ritrovò di nuovo con le spalle contro al muro, con il volto del bruno  a pochi centimetri dal suo, il respiro ansate e caldo tipico di qualcuno con i nervi a fior di pelle.

"Non osare neanche pensare a Salvatore" lo avvertì Stefano, digrignando i denti come un animale. "Lui è troppo prezioso per essere nominato da quella fogna che chiami bocca. Quel ragazzo è la mia vita e adesso per colpa del tuo scherzo stupido è in ospedale da dieci giorni, e sai che forse non si sveglierà? Se non dovesse farlo, oh mio caro Sascha..." rise malvagiamente, la lucidità lontana da essere nella sua mente "ti conviene trasferirti su un altro sistema solare, perché da me non avrai un attimo di pace. Io amo Salvatore come non ho mai amato nessuno, neanche me stesso... se potessi tornare indietro nel momento preciso in cui stava morendo fra le mie braccia avrei preso il suo posto senza neanche pensarci... Non ha mai fatto del male a nessuno, cazzo quel ragazzo non sa neanche cosa vuol dire ferire qualcuno, Ma tu..." Abbassò drasticamente il tono di voce, ghignando maleficamente nel leggere dla paura negli occhi castani del bruno. "Tu l'hai distrutto, e io allo stesso identico modo distruggerò te, puoi esserne certo"

Con una spinta tutt'altro che gentile uscì dalla stanza diretto di nuovo nella propria classe visto che non poteva rischiare di perdere l'anno scolastico con un'altra sospensione a causa del maggiore, che aveva lasciato scioccato ancora negli spogliatoi.

Sascha non aveva mai visto Stefano così arrabbiato, anzi il termine giusto era furioso, accecato dalla rabbia, imbestialito a livelli impensabili e per la prima volta sentì un brivido di paura cogliergli la schiena.

E sempre per la prima volta nella sua vita, trovò il coltello dalla parte del manico in mano a qualcun altro, qualcuno che non era lui

Poem|| SalvefanoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora