Uno

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Ore 7.30

Partii di casa con i miei due fratelli nei posti dietro. Erano silenziosi e presto sarebbero dovuti scendere per andare a scuola. Io, al contrario, avrei dovuto aspettare ancora dieci minuti di strada e almeno un'altra mezz'ora di traffico prima di scendere e sgranchirmi le gambe.
Frequentavo il liceo. A Rivoli per la precisione e ogni mattina sembrava che la scuola si allontanasse. Mi piaceva l'indirizzo che avevo scelto, studiare psicologia e pedagogia si era rivelato piuttosto interessante. Andavo bene, non mi annoiavo e mi sentivo completa, credo.

I miei genitori lavoravano alla Jmedical. Curavano i calciatori. Si, i calciatori. I miei compagni erano gelosi da morire e facevano bene: non tutti i giorni puoi vedere gli allenamenti della Juventus. La vita mi aveva dato questa piccola fortuna.
Non mi ero mai vantata di questo, non perché non né andassi fiera, solo che dopo un po' dava fastidio subirsi l'interrogatorio da chiunque incontrassi per strada.

Conoscevo i calciatori. Qualche problema?

Io no. Quindi non rompete e fatemi fare la mia vita.

Ero scontrosa alcune volte. Se avevano qualche problema dovevano risolverselo da soli, i miei genitori lo facevano perché dovevamo mangiare e lì pagano bene.
In effetti non avevano torto. Eppure io ci vedevo un secondo fine. Per una juventina dalla nascita, che si innamora della squadra ogni volta che gioca e hai la camera tappezzata di poster con giocatori, palloni, frasi dette da calciatori con i palloni in mano e trofei che vincevo dedicati ai giocatori della squadra, era assurdo non dire: mi sento una juventina completa.

Quella mattina eravamo più silenziosi del solito. Era martedì e sembravamo cinque zombie in auto. I miei fratellastri, figli di mio padre ma di una donna che manco conoscevo, si prepararono per scendere e andare per le loro strade che ogni mattina percorrevano. Scesero e io li salutai con un gesto della mano e presi il posto del passeggero. Adoravo stare davanti. Sentirsi al centro del mondo almeno per una volta, il mondo per me si trovava solo nei palloni e nelle lettere che scrivevo e che poi mettevo in una scatola sotto il letto. I miei fratellastri manco mi diedero retta. In fondo ero io quella che si pccupava di loro la maggior parte del tempo, ero io quella che li preparava, che quando arrivavano a casa trovavano la cena o il pranzo pronto, ero io quella che si li portava dietro. E come risultato ho ottenuto solo uno sguardo di disapprovazione. Che fratelli di merda.

-potresti essere più simpatica con i tuoi fratelli.- mi rimproverò mio padre.

-si certo. Parla quello che va a letto con le altre donne e si ritrova con due bimbi tra le scatole e da tutta la colpa, come ogni sera, alla maggiore. Ma ogni tanto pensi a quello che dici? Mentre ti impegnavi a procreare hai pensato a me? Direi di no. E pensare che io ci guadagno degli schiaffi la mattina, durante la giornata e la sera.-

-Ma sei impazzita? Tu sei solo una cogliona e che merita il posto che ha.-

Mia madre era indifferente.

-Lasciami scendere.-

-Come scusa?-

-Voglio scendere. Sei stronza come persona e uno stronzo dentro.-

-contenta tu. Così arrivo prima a lavoro-

-Non venirmi a prendere oggi. Vado a casa di Zoe.-

Sbattei la portiera dell'auto e andai a piedi per conto mio. Sarei arrivata a scuola tra dieci minuti, massimo un quarto d'ora. E ora potevo godermi del sano silenzio. Mentre camminavo guardavo i miei polsi. Erano pieni di lividi, mio padre ieri ci aveva dato qualche ceffone solo perché stavo scrivendo a un mio amico. Volevo uscire con quel ragazzo da un po' ma i miei fratelli erano più importanti. Non avevo vita sociale.
I miei piedi andavano per la loro strada lungo strada Scaravaglio che quella mattina era gelata.
Incontrai Zoe in auto con sua madre e mi fecero salire. Per me era come la sorella che non ho mai avuto. Vivere chiusi nella propria camera non è che sia una passeggiata, ma me ne feci una ragione, almeno i poster mi facevano compagnia.

Scacciai i miei pensieri appena l'auto si fermò. Zoe mi prese per una mano e mi aiutò a scendere dalla jeep di suo padre. Io sorrisi e presi la mia roba per poi avviarmi al cancello.
L'entrata del Darwin era imponente. Cancello verde automatico, anche se non lo aprivano mai, tanti studenti, una grande salita piastrellata con blocchetti color porpora e una facciata divina. Si accedeva salendo tre o quattro gradini per poi passare sotto una piccola tettoia con due file di colonne. Oltrepassata una porta con del vetro si entra in un ambiente singolare, l'atrio. È bianco e pulito. Spazioso e con delle colonne imponenti che terminano con dei bellissimi capitelli in stile jionico. Mi piaceva.

Zoe mi riportò nuovamente alla realtà quando mi disse che un suo compagno mi stava guardando. Si mi fissava. Ma che voleva? Girati e guarda un'altra. Ripeto: girati e guarda un'altra.
Nulla da fare. Non sente. Cosa faccio? Ci sono, non lo cago.
La campanella non ci mise molto a suonare e fui contenta. Alla prima ora avevo matematica e avrebbe interrogato e io, visto che sono già passata, posso sonnecchiare ancora un'oretta.
L'ora fu più lenta del solito. Sentire sta lezione-interrogazione mi fece venire il latte alle ginocchia. Poi entrò il bidello e ci disse che l'ora dopo avrei avuto ora buca. A posto. Posso dormire ancora.
Non avrei fatto grammatica. Io odiavo quella professoressa. Mi aveva preso di mira subito per un motivo indefinito e non vorrei scoprire quale, magari perché tifo juve e lei no? Ma non è discriminazione? Il mondo è strano.
Respirai e iniziammo una conversazione stupida tra compagni. Come si può passare dall'orario scolastico del giorno a venire al calcio alla Champions che non abhiamo mai vinto?
O si parla dell'orario o si parla di calcio o si parla di Champions.
Alla fine si sono creati dei gruppi tra cui quello del calcio, esiste posto migliore? Direi proprio di no.

L'ora di diritto ed economia volò veloce. Trattammo la gerarchia delle fonti e la differenza tra i vari decreti per poi fare un breve ripasso. Avevo preso parecchi appunti ed ero soddisfatta del mio lavoro.

L'intervallo arrivò in fretta e presi la mia cartella per andare nella classe di Zoe per darle il cambio di aula. Presi il suo posto in prima fila e ci fermammo a chiacchierare. Almeno, chiacchierammo del più e del meno per circa quattro minuti, poi un signore mi chiamò al cellulare. Numero sconosciuto.

Seven or Ten?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora