☆═━┈seventeen┈━═☆

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xvii.
nocturne, parte seconda

Finn

«Fanculo» fu il borbottio indistinto che accompagnò la mia scesa dal materasso, che tanto in quel momento sembrava scomodo.
Avevo passato quelle che parevano ore a rigirarmi nel letto alla disperata ricerca di un po' di sonno, ma quella sera nemmeno gli esercizi di respirazione e i sonniferi mi erano stati d'aiuto.

Vagai per il corridoio buio, senza nemmeno sapere dove sarei dovuto andare. A prendere un bicchiere d'acqua? in bagno? O forse a sdraiarmi sul divano?
Nessuna di quelle opzioni sembrava sensata in quel momento, così non mi restò che guardarmi attorno; non mi alzavo più durante la tarda sera da tempo, e il pensiero delle vecchie notti insonni era stato lontano da me per ben due anni.

Lasciai scivolare lo sguardo lungo i libri polverosi, quelli che nessuno sfogliava più, incastonati tra le mensole legnose della libreria; e poi lungo il vaso bianco sul mobile accanto alla poltrona beige, i quali colori erano offuscati dall'oscurità della notte. In quel buio, non riuscii a trattenermi dal pensare a Millie che, in quella casa tenebrosa, durante la sera sarebbe probabilmente morta dalla paura.

I miei occhi si posarono poi sulle foto incorniciate; irraggiavano malinconia da quel mobiletto in legno, tanto che alcune volte ero costretto a rovesciarle per non scorgerle.

Ma quella notte mi ci avvicinai e non mi limitai a guardarle, le esaminai attentamente sotto i miei tristi occhi color pece.
Il piccolo Finn era sorridente tra le braccia della madre radiosa, dotata di un riso talmente solare da riuscire ad illuminare anche quel buio salotto. Era bella, pensai, dotata di tratti particolari e lentiggini lungo le gote. Il suo volto era ancora impresso nella mia mente, e se chiudevo gli occhi riuscivo ancora ad udire la sua risata leggiadra, il suo profumo primaverile, il suo sguardo rassicurante che mi rivolgeva ogni volta che fallivo.

Riuscii a sentire i miei occhi inumidirsi; tuttavia era notte e, per quanto avessi provato a sfuggire a quei momenti a lungo, alla luna di quella serata non avrei potuto nascondere la mia vera identità.

E poi feci una cosa alla quale non pensavo più da troppo tempo.
Spostai lo sguardo verso la vetrata scorrevole che portava alla terrazza.

Il cielo era meraviglioso quella notte, tanto immenso, mistico, quanto dispersivo, e le stelle brillavano nella limpida oscurità.
Non incontravo un tale capolavoro da anni.

La tentazione fu troppa ed io ero troppo impotente, disarmato sotto quell'immenso cielo, così lo feci di nuovo. Mi avvicinai lentamente alla vetrata, che spalancai silenziosamente, e la stessa brezza notturna che mi faceva sentire vivo incontrò dopo mesi il mio volto ed attraversò i miei ricci corvini; sembrava di aver viaggiato nel tempo.

Le lacrime scorrevano veloci sul mio volto pallido, mentre il mio sguardo appannato incontrava dopo ben due anni quella terrazza che tanto avevo amato, per poi tanto dimenticarla, come se dimenticare una tale meraviglia mi avesse potuto aiutare a cancellare il dolore.

Inevitabilmente cominciai a singhiozzare, mentre copiose lacrime rigavano le mie gote. Perché alla notte non sfuggiva nessuno dei miei segreti.

C'era un pacchetto di sigarette sul tavolino in legno; segno che mia zia era passata per di lì. Era stato il suo stesso esempio a portarmi su quella strada, erano state le sue sigarette a dare inizio a quel casino. Ed io, dietro quelle sigarette mi ero ingenuamente nascosto, come se avessero potuto aiutarmi, come se avessi avuto una giustificazione per consumarle.

Portai un'altra cicca alle labbra, e il fumo si dissipò nel cielo limpido di quella sera. Pensai di essere solo con la notte, quando mi guardai attorno; i soliti, familiari, palazzi, e le solite strade poco illuminate.
Solo un eccezione arrivò immediatamente ai miei occhi: il balconcino che affacciava sulla terrazza stessa che per anni era stato disabitato quella sera era spalancato, e le tende bianche danzavano con il vento. C'erano sempre state quelle tende bianche?

Lasciai scivolare lo sguardo ancora più in basso, ancora più in basso e la seconda, sorprendente eccezione fu il viso bambinesco di una ragazza affacciata, lo sguardo rivolto alle stelle e le braccia esili poggiate alla ringhiera ferrosa.

Strizzai gli occhi un paio di volte, giusto per assicurarmi di non star soffrendo di allucinazioni.
Alla terza volta la ragazzina era ancora lì con aria sognante, e la esaminai attentamente, nel disperato tentativo di scorgere chi fosse. Eppure, c'era già qualcosa di familiare in lei, nelle sue gambe esili e in quei boccoli castani.

E poi si voltò, e i nostri occhi si incontrarono.
Mi mancò il respiro perché, anche a quella distanza, riuscivo a scorgere quei luminosi occhioni ambrati che ora mi scrutavano confusi.

Schiusi le labbra; quei tratti bambineschi, quelle gote arrossate, quella bocca carnosa. Avrei potuto riconoscerla tra mille, quella ragazza, e quella sera, alla luce flebile della luna, sembrava ancora più leggiadra.
C'era qualcosa di particolare in lei; Millie non era sexy, eppure il suo corpicino irraggiava qualcosa di puro, angelico. Millie non era sexy, non era formosa. Millie era bella.

E adesso, la stessa Millie aveva conosciuto la mia vera natura.

where the lanters end up [fillie] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora