☆═━┈thirty four┈━═☆

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xxxiv.
only when you leave

Millie

Ed eccolo, giacere sull'asfalto in un pozzo rossastro, torrido, avanzava lentamente; la sua visione mi gelò il sangue, e si ripetette a lungo durante quella mattinata grigia.

Ci avevo pensato, quella mattina, al nostro primo, rivoltante incontro.
Allo sgabuzzino, alla nostra pelle sfiorarsi, ai nostri sguardi fondersi per le prime volte. E poi alla terrazza, a quei messaggi, alle sue parole strozzate dalle stelle; mi avevano tutti, come schegge, attraversato la mente in poche frazioni di secondo.

E dovetti strabuzzare gli occhi, perché vedere era divenuto difficile; non me ne resi conto, ma quello da cui la mia vista era appannata erano lacrime, e si confondevano con la pioggia, scivolavano lungo il mio volto inorridito, bagnavano il suo corpo inerme, che giaceva, debole, al suolo.

Un uomo si gettò fuori dal veicolo, l'auto scura che sostava a pochi centimetri da Finn; la stessa auto che aveva sterzato troppo tardi, la stessa, maledetta auto che lo aveva ridotto in quelle condizioni.

Non vi diedi peso, in quel momento; il dolore era troppo e invadeva ogni centimetro, mi accecava, stringeva il cuore, premeva sullo stomaco. Ma fu solo grazie a quell'uomo che un'ambulanza accorse sul luogo, perché io non avrei mai potuto trovare la coscienza di chiamarne una; ci stavo pensando, in quella sala d'attesa, con il cuore in gola e il tremolio alle gambe.

I pensieri che mi tormentavano erano così tanti che riuscii a malapena a ricordarmene uno, saldo, struggente; nella mia mente regnava la sua immagine, le sue parole, i suoi ricci corvini e i suoi occhi, pozzi profondi nella quale mi ero persa non poche volte. E mi avevano ferita, quei pozzi profondi. Ma non quanto io avessi ferito loro, pensai ancora, perdendomi in un milione di ansietudini ombrose che mi pressavano, sghignazzavano alle mie spalle e mi urlavano della strega, della gelida, della codarda, della drammatica.

Perché se Finn si era ritrovato in quelle condizioni, era stata tutta colpa mia.

Ed eccomi, pronta a cedere a quelle ombre, pronta a perdere ogni speranza. Erano ore che aspettavo, iniziando a perdere fiducia; iniziai a temere il peggio, e tutto d'un tratto il tremolio cessò, il cuore tacque per un attimo. Perché non ci avevo mai pensato, non avevo mai pensato di poterlo perdere.

Cosa avrei fatto, in quel caso?

«Signorina, il paziente si è svegli-» irruppe nei miei pensieri, una voce profonda, spiccava nel borbottio che tutto d'un tratto sembrò rinascere attorno a me.

Sbarrai gli occhi, non consentendo al medico neppure di continuare la frase; balzai in piedi. Allora notai che il mio cuore era di nuovo ammattito, gli occhi inconsapevolmente lucidi, lo sguardo basso.

Il mio cuore brulicava di gioia, il mio stomaco si dilettava in capriole mortali. Tuttavia fu a passo tremante, timido, che mi avvicinai alla soglia. Esitai, prima di afferrare la maniglia; cosa gli avrei detto?

Presi un respiro, due, e le mie dita pallide si posarono come per scattare.
Forse avrei dovuto prendere un altro respiro, pensai, prima di scuotere la testa.
Mi feci coraggio, e aprii la soglia.

Ma quando i nostri sguardi si incontrarono nuovamente, quando scorsi i suoi ricci corvini, ogni tensione sparì; lacrime inconsapevoli mi rigarono il volto, e pensai di non aver mai pianto di gioia in tale modo, mai mi ero sentita tanto sollevata prima d'ora, colma di una felicità che attraversava gli arti e commoveva il cuore. Era forse quello, l'amore?

«Finn.» riuscii a sussurrare appena, in un filo di voce flebile, strozzata dalla commozione, prima di avvicinarmi alla sua figura; il corvino mi seguì con lo sguardo, sdraiato su una barella di ospedale. E fu quando le nostre pelli si sfiorarono ancora, che Finn rabbrividì. Un sorriso si incurvò sulle mie labbra inumidite dalle lacrime; miliardi di parole aspettavano di abbandonare la mia bocca, ma nemmeno una ci riuscì. Quel silenzio, per me, bastò a significare molto di più.

E quello stesso silenzio di commozione, quel silenzio che mi attraversava gli arti e colmava il cuore, stava per essere stracciato da un sussurro; le labbra di Finn si schiusero appena, conoscevo quel movimento, sapevo stesse per parlare.

Fu quando mi protesi ad ascoltare, che rilasciò quelle parole in un sussurro; un soffio gelato che mi sfiorò la pelle. E bastò quel soffio, quella scheggia, a far cascare un silenzio molto più cupo e opprimente di quello che mi aveva accolta in precedenza. Pallido, era stato quel silenzio capace di farmi gelare. Gelido, quel soffio responsabile del silenzio:

«Chi sei?»

where the lanters end up [fillie] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora