Nella tana del lupo

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All'istante non odo alcun suono, perciò spingo il bottoncino dorato ancora ed ancora, ma la porta continua a rimanere chiusa. Sbuffo spazientita, serrando le palpebre e massaggiandomi nervosamente il setto nasale per poi compiere un ultimo tentativo. Suono il campanello, ma anche questa volta nessuno mi permette d'entrare all'interno dell'appartamento. Prima che perda il senno, tuono incollerita: «Levi Ackerman so che sei lì dentro, rintanato come un codardo, ma Hanji mi ha pregato di venire qui.»

Attendo qualche istante ma non noto alcun cambiamento, perciò proseguo con fermezza: «Sono stata un'idiota ad accettare la richiesta della scienziata, ma posso sempre rimediare. Dopotutto ti vergogni di te stesso tanto da non mostrarti e...»

Prima che possa continuare a pronunciare false crudeltà, la porta viene violentemente aperta, rivelando un Ackerman visibilmente collerico. Sono contenta d'esser riuscita a tirarlo fuori dalla tana, ma probabilmente la strategia che ho usato è terribile. Ackerman inspira profondamente e ringhia furibondo: «Va' via di qui e non farti più vedere.»

Prima che possa ribattere, il corvino tenta di chiudere la porta, ma prontamente irrompo nella sua dimora, ottenendo da parte sua uno sguardo colmo d'odio e collera. Compie un passo verso di me quando improvvisamente crolla di ginocchia a terra. Preoccupata mi accosto al corvino, ritrovandomi col sedere a terra e lui con la schiena appoggiata alla porta d'ingresso ormai chiusa.

«Non ho bisogno della tua carità.»

Mi sento tremendamente in colpa per le parole che gli ho detto, ma non le penso realmente, o almeno non tutte. Nonostante ciò, non posso non ammettere d'esser entrata usando unicamente questo espediente, seppur terribile. Sospiro affranta per poi osservare il corvino dinanzi a me, trasalendo per l'orrore ed il dolore.

«Cosa ti hanno fatto?»

Il suo busto e le sue braccia, ora nude ai miei occhi, sono solcate da innumerevoli lesioni e la più profonda è incisa tra lo sterno ed il fianco destro, arrivando sino a metà pancia. Le sue palpebre sono violacee ed il suo sguardo assente. Le sue membra dilaniate sono bagnate dal sudore mentre il suo viso è segnato dalla sofferenza. Colta da un impeto d'ira verso coloro che lo hanno ferito e di pena per lui, lascio cadere il sacco accanto a me e mi avvicino a lui con lentezza. Mi chino e mi inginocchio tra le sue gambe poco divaricate. Tremante allungo la mano destra verso il suo volto tumefatto e gonfio, ma, prima che possa sfiorarlo, odo il suo ordine appena sussurrato: «Ferma.»

La mia mano tocca il pavimento mentre lo scruto con angoscia, bisbigliando addolorata: «Cosa ti hanno fatto?»

Per quanto lo detesti, non riesco ad essergli indifferente. Osservo con sofferenza le ferite ancora impresse sulla carne viva quando una lacrima sfugge al mio volere, ma lestamente l'asciugo col dorso della mano. Nonostante il mio gesto sia stato fulmineo, il corvino lo nota, scrutandomi ora confuso e curioso. Prontamente gli do le spalle, mi alzo ed afferro il sacco, poggiandolo sul divano ed avvertendo le sue iridi bruciarmi la schiena. Con falsa nonchalance tolgo il giubbotto scuro e lo appendo all'attaccapanni vicino al portone per poi chinarmi all'altezza del corvino ed asserire con fermezza: «Adesso devi alzarti così potrò medicarti.»

«Non ho bisogno del tuo aiuto.»

Prima che possa ribattere, si alza da terra, traballando e gemendo per il dolore. Scuoto il capo in diniego, avvertendolo con voce atona: «Comunque resterò fino a dopodomani.»

«Sono io il padrone di casa e tu non ci resterai.»

Mi drizzo sulla schiena, gli do le spalle e mi incammino verso il divano, sedendomici sopra e rispondendo con falsa calma: «Non m'interessa, anche perché ora non possiedi la forza per buttarmi fuori da casa tua.»

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