Pensaci

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Pranziamo in assoluto silenzio e di tanto in tanto mi soffermo ad osservare l'interno del bunker, al contrario della scienziata che presta interesse ad alcune scartoffie disposte disordinatamente sulla scrivania. Non appena terminiamo i rispettivi pasti, senza perdere tempo mi alzo cautamente dalla sedia, sorridendo ad Hanji che mi ringrazia per esser rimasta con lei. Subito dopo le do le spalle, camminando speditamente verso la porta, ma, prima che possa andar via, la scienziata mi richiama a gran voce. Inevitabilmente m'immobilizzo, voltandomi verso di lei e prestandole la mia completa attenzione. La donna in camice inspira profondamente ed ammette con fermezza: «Ti prego di rivalutare il caso, poiché la questione non è per nulla semplice.»

«Lo farò.» Acconsento con un gesto rapido del capo. «Buon pomeriggio.»

Subitamente esco dal laboratorio, imboccando inevitabilmente il corridoio sotterraneo ed entrando in ascensore. Non appena giungo al piano terra, mi guardo intorno, sentendomi estranea tra queste mura quando fortunatamente Giorgio mi nota e m'invita a raggiungerlo. Senza perder altro tempo usciamo dall'imponente struttura militare e ci avviamo verso il parcheggio dove Natasha c'attende poggiata con la schiena contro il catorcio, le braccia incrociate al petto e lo sguardo perso nel vuoto. La sua mano compie rapidi movimenti e le sue labbra si schiudono per permettere ad una nuvola grigiognola di miscelarsi con l'aira. Un'ira micidiale m'assale, costringendomi a marciare verso di lei e tuonare furibonda: «Avevi smesso.»

«Avevo.» Cantilena seccata per poi darmi le spalle, gettare la sigaretta a terra ed entrare in macchina. «Andiamo via di qui.»

Scruto la russa attraverso il finestrino, provando un profondo senso di dolore per lei. Se Natasha fuma, non è un buon segno. In passato si rifugiava in quella droga mortale per fuggire dai problemi, danneggiando irreparabilmente i suoi polmoni ed il suo cuore. Fumava per smettere di pensare, per tentare di dormire e non farsi sopraffare dai ricordi tremendi della sua vita. Fortunatamente riuscì a farle comprendere la gravità del dolore che procurava a se stessa ogni qual volta compiva quell'immondo atto e l'aiutai nella sua terapia. A causa della disputa di questa mattina e della pressione la sua mano ha cercato nuovamente l'arma dei suoi dolori fisici. Spero vivamente che non continui a destreggiarla, ma non posso che esser in pensiero per lei. Sospiro stremata, aprendo lo sportello lontano dal lato guida, rivolgendomi poi a Giorgio: «Ci vediamo la prossima notte alle 3:35 in locanda. Grazie per tutto quello che hai fatto oggi.»

Il mio amico mi sorride, scuotendo il capo in diniego e rispondendo con garbo: «A domani.»

Senza perder tempo prendo posto sul sedile ed immediatamente Natasha mette in moto il catorcio, sgommando a tutta velocità ed arrivando a destinazione in meno di venti minuti. Non appena mettiamo piede all'interno della locanda, la russa s'affretta a salire le scale, serrandosi in camera sua e sbattendo irruentemente la porta. Scuoto fortemente il capo in diniego, dirigendomi speditamente in bagno e docciandomi in modo da permettere a Natasha di sfogarsi. Asciugo il mio corpo con un panno morbido ed indosso il completo per il lavoro per poi scendere al piano inferiore. Mi dirigo dietro il bancone, entrando in cucina e preparando qualcosa di buono e rapido da cucinare. Senza alcun indugio mi metto all'opera, optando per una ciambella al cioccolato. Mentre il dolce è in forno, preparo anche due cioccolate calde, nonostante la temperatura non sia esageratamente gelida. Ed ecco che poco dopo una mezz'oretta è tutto pronto, perciò poggio rapidamente sia le tazze di cioccolata calda che la ciambella su un vassoio in legno. Salgo le scale, facendo attenzione a non capitombolare giù e combinare l'ennesimo disastro della giornata. Fortunatamente riesco nel mio intento, arrivando incolume con i dolci in mano dinanzi alla camera di Natasha. Busso con veemenza per qualche minuto, non ricevendo alcun tipo di risposta. Nonostante ciò, non demordo e continuo sin quando non odo un urlo isterico provenire dalla camera della russa: «Non voglio esser disturbata!»

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