Conoscenza in cella

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Il tintinnio distante e metallico dilania dolorosamente i miei sensi mentre le ombre si dissipano lievemente e le mie membra riacquistano difficoltosamente la sensibilità perduta. Gemo e dischiudo le palpebre pesanti, notando astrusità nell'identificare il loco dove sono. Percepisco una luce fredda provenire da destra, adombrando quelle che sembrerebbero delle sbarre in metallo cinereo. Un'inaspettata e dolorosa fitta alla testa mi fa gemere e chiudere nuovamente le palpebre per poi riaprirle e constatare d'aver riacquisito la visione nitida nella cella semibuia in cui mi trovo. Porto lentamente una mano sudicia e sporca di sangue incrostato sulla fronte, tremando per l'orrore e la vista del fluido scarlatto. Inevitabilmente tento di rammentare gli ultimi eventi, immobilizzandomi per il terrore e compiendo un atto brusco con il busto. Ineluttabilmente un gemito colmo di dolore prorompe dalle mie labbra secche mentre mi stendo ancora una volta in posizione prona, portando un braccio infangato sugl'occhi e sospirando angosciosamente.

«Finalmente sei sveglia!»

Il sangue mi si ghiaccia nelle vene, avvertendo soltanto adesso un'altra presenza in questa cella. Celermente e timorosamente ruoto il capo verso destra, notando una giovane donna dai capelli corvini e gli occhi nebulosi. Serro istantaneamente le palpebre, tentando di rimembrare dove abbia sentito la sua voce prima d'adesso. Dopo esigui istanti dischiudo gli occhi e le labbra, incredula e lievemente rincuorata, poiché la donna accanto a me è colei che ha avuto il coraggio d'urlare durante la mia flagellazione pubblica. Lei è stata l'unica ad aver ancora un briciolo d'umanità e compassione verso il prossimo. L'unica. Ruoto lievemente il capo e l'analizzo con più attenzione, notando soltanto ora la lesione che corre dal sopracciglio al labbro gonfio del suo incantevole viso. Inevitabilmente credo se la sia procurata unicamente per salvarmi da disabilità certa, perciò le sarò eternamente grata.

«Sei stata tu a gridare nella Sezione A, non è così?»

«Sì.»

La donna si volta lievemente per non mostrarmi il suo volto sfregiato ed assume un tono glaciale. Istintivamente l'osservo con infinita gratitudine, poiché, nonostante si palesi ostile, in realtà è stata l'unica a rivelare la sua umanità.

«Grazie.»

La donna sospira irresoluta per poi scuotere il capo in diniego, arcuare le labbra piene all'insù e voltarsi cautamente nella mia direzione. Mi scruta con interesse, incrociando le braccia al petto ed alzando lievemente il mento.

«Sei coraggiosa o solamente folle?»

Le gemme nebulose s'oscurano ed un ghigno sadico aleggia sulle sue labbra. L'osservo prudentemente, scegliendo se mentirle o meno. In realtà lei non dovrebbe interessarsi a me, ovvero una completa e sciocca sconosciuta, che è salva solamente grazie a lei, ma proprio per questo motivo non posso mentirle. Ruoto il capo verso il soffitto scuro e lurido, ammettendo con sincerità: «Non era nei miei piani esser condannata, soprattutto al posto d'una donna che non conoscevo, ma, dopo aver ascoltato la bestialità della sua pena ed aver assistito all'immobilità dei sopravvissuti...io...io...non sono riuscita a non prendere il suo posto.»

I miei ultimi lemmi aleggiano nell'aria malsana e lugubre della cella, percependo gli occhi della donna scrutarmi ora con ammirazione. Inspiro profondamente, digrigno i denti per il dolore e bruciore intenso e rivelo con rammarico: «Nessuno, a parte te, si è interessato della mia sofferenza fisica, permettendo così al militare di flagellarmi ancora ed ancora, nonostante stessi per...per...»

«In verità non ero certa di voler interrompere l'esecuzione.» Ammette con letale serenità. «È stato il tuo atto a costringermi ad urlare per la tua vita, poiché sei stata l'unica a soccorrere una donna senza nemmeno conoscerla, immedesimandoti nella sua condizione e ponderando quale delle due condanne avrebbe recato meno danno possibile. È per questo che ho interrotto bruscamente la flagellazione.»

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