XXII

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Mia non era mai stata in Italia prima. In realtà non aveva mai viaggiato molto quando era piccola. I suoi genitori avevano un lavoro che li richiedeva sul campo quasi tutti i giorni e se proprio volevano andare in vacanza, non si dovevano allontanare troppo.

Era stata alla casa sul lago, quella di cui nonna Lydia le parlava sempre, ma poteva contarle sulle dita di una mano le volte in cui ci era andata.

Ripensava a Crystal Lake, un posto meraviglioso, che immediatamente la riportava con la mente a quelle poche volte in cui ci era stata insieme a Travis, fino all'ultima volta in cui era andata insieme a Thompson, per passare un po' di tempo insieme.

Mia si era impegnata nel cercare di mantenere vividi i ricordi di quel posto nella sua mente, e nonostante fosse difficile e alcune cose proprio non riuscisse a mettere a fuoco, sarebbe stata capace di descrivere quel posto ad occhi chiusi, almeno in grandi linee.

Si era fatta una bella doccia calda appena era arrivata nella sua stanza d'hotel e si era cacciata via i brutti presentimenti, quelle sensazioni che le chiudevano lo stomaco e anche tutto il sudore accumulato durante la giornata. Poi, si era messa a sedere sul bordo del materasso del letto matrimoniale: troppo grande per una persona sola, aveva pensato quando l'aveva visto.

Dovevano ancora cenare ma si sentiva già che non avrebbe toccato cibo. Era preoccupata e ansiosa, ma non sapeva dare una spiegazione a quei sentimenti. Non era sola, c'erano Natasha e Clint insieme a lei, eppure qualcosa la turbava a tal punto da non sapergli dare un nome.

Sono solo stanca, si, stanca. Se l'era detto giusto per calmarsi, mentre guardava l'orizzonte fuori dalla finestra.

Il sole giallo e caldo del pomeriggio si era trasformato in una palla infuocata arancione che sembrava volesse divorare l'intera città di Milano.

Mia si alzò dal letto di scatto quando sentì bussare alla porta della su stanza. Aveva ancora il corpo avvolto dall accappatoio di cotone bianco e i capelli umidi le scendevano sulle spalle.

Non era pronta, eppure qualcuno, fuori dalla sua stanza, credeva che lo fosse.

"Dieci minuti" - urlò lei cominciando a frugare all'interno della sua valigia. Quando sentì bussare di nuovo, insistentemente, alzò gli occhi al cielo e sbuffò. -"Ho detto dieci minuti"

E fu così. Dieci minuti dopo era fuori dalla stanza, indossava un paio di jeans chiari e una camicia bianca - non troppo elegante - e le sue solite sneakers.

Natasha la aspettava fuori dalla porta. La schiena appoggiata al muro, le braccia incrociate al petto e lo sguardo fisso davanti a se. I loro occhi si incrociarono e la bionda guardò l'orologio, constatando che erano passato esattamente dieci minuti da quando lei aveva bussato l'ultima volta.

"Ha chiamato Steve" - esclamò staccandosi dal muro quasi come se fosse rimasta incollata, si sistemò la maglietta nera che indossava e parlò di nuovo -"in realtà era Steve con il telefono di Tony"

Mia sorrise. Si incamminarono verso l'ascensore e non appena lo raggiunsero Natasha premette più volte sul pulsante della chiamata. Le porte metalliche non tardarono ad aprirsi.

Mia seguì Natasha che era appena entrata nell'ascensore. Le porte si chiusero e rimasero in silenzio per un periodo indefinito. A Mia sembrava che fossero in quell ascensore da un eternità. Voleva parlare, voleva chiederglielo, e Natasha lo sapeva perché se ne stava chiusa in un silenzio religioso con un piccolo sorriso sulle labbra rosee.

"Puoi chiedermelo se vuoi"

"Dimmelo e basta"

Romanoff scosse la testa -"voleva parlare con te"

𝑶𝒗𝒆𝒓𝒉𝒆𝒂𝒅 || Marvel Story ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora