In mia morte

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Ormai è un appuntamento quotidiano: la mia stessa morte.
È un'abitudine ben radicata, non me ne scorderei facilmente.
Non so più da quand'è che ogni benedetto giorno salgo sul patibolo e mi lascio trafiggere da un'essere diverso.
La mia pelle ha assaggiato il sapore di un'infinità di metalli e il mio sangue bagna sempre più diverse lame.
Nessun funerale: non credo esista qualcuno con una ricchezza tale da permettersene uno al giorno.
Non mi converrebbe nemmeno perderci tempo, il sarcasmo proveniente dalla presenza di nemmeno una singola persona andrebbe sprecato.
Nessun pianto disperato, nessuna dedica commossa, nessun lamento né tanto meno un povero mazzo di fiori.
Per una cosa di così poco conto, in fondo, non mi pare necessario impegnarsi più di tanto.
È un fatto tanto semplice quanto sconcertante.
Io muoio.
Muoio nell'insulto.
Muoio nel dolore.
Muoio nella fame.
Muoio nel denaro.
Muoio nell'amore.
Muoio nella carne.
Muoio.
Coniugazione particolare per un verbo tanto pesante, non trovate?
Ah, prima che mi dimentichi, ora che ne siete a conoscenza, non fate gli ipocriti e continuate a non venire, cortesemente.
Non vorrei trasformare un funerale in una serata di cabaret.

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