Flusso V

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È tardi, l'altra notte non ho chiuso occhio e non ce la faccio anche stasera.
Provo tuttavia un forte dolore allo stomaco, sento qualcosa sbattere all'altezza del ventre e non trovo il modo di liberarmene.
Le giornate di festa sono finite, i festeggiati si godono i regali e gli invitati vanno a concedersi il meritato riposo.
Io sto qua e finalmente (ma che finalmente, finalmente un cazzo) ho riattaccato il cervello.
Da quando me ne sono andato ho cominciato a far girare una volta per tutte il mio mondo, te l'ho promesso: sogno tutte le volte una ragazza diversa, conosco gente, cerco cose nuove da fare, leggo libri o almeno ci provo quando non mi rompono i coglioni.
Eppure, diamine, pensavo di essermi sbloccato, di essere cambiato e cresciuto almeno un po', di aver acquisito un po' di sicurezza e invece il mio stomaco è sempre in agonia.
"Domani è una bella giornata per cambiare le cose, oggi è la giornata buona per rendersi conto che non cambieranno."
Forse è per questo. È per queste frasi. È per il fatto che parlo ancora da solo nella speranza che qualcuno mi senta.
Sono solo, anche se poi non lo sono.
No, non sono solo, le persone che ci sono mi vogliono bene, certo.
Eppure, quando sputano sulla mia solitudine, cercando di farmi capire che poi non sto così male, divento solo pure a Piazza di Spagna, un sabato sera d'estate.
La gente sta molto peggio di me: padri morti o che se ne sono andati, infami in ogni angolo, soldi che non cadono del cielo.
Ma la mia, la nostra (vai a capire di chi) è una solitudine che trascende il fisico e si nasconde tra la materia grigia e lo spirito.
La solitudine di chi vive più in alto di tutti gli altri.

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