Capitolo XXXII

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{ciao a tutti. In questo capitolo ci saranno delle scene con delle parole esplicite ma non esagerate. Io metto l'avviso per correttezza, se non ve la sentite non leggete da quando incontrerete l'orario scritto. Detto questo buona lettura!}

BETTY'S POV
Stavo camminando verso casa.
Tornavo da quella di Jug.
E ci stavo tornando piangendo.
Pensavo avesse cambiato idea su di me e invece non era così. Mi pensava esattamente come mesi fa. Ed io come una sciocca ci ero ricascata, nella sua trappola.
Molto da Betty Cooper insomma.

Solo quando imboccai la mia via, Elm Street, le lacrime iniziarono ad esaurirsi e l'unica prova del mio pianto erano gli occhi gonfi.
Camminavo il più lentamente possibile per far sì che il mio corpo e la mia mente si calmassero del tutto.
Quando mi apprestai ad entrare in casa avevo solo un briciolo gli occhi arrossati ma per il resto ero la solita me, perfetta.
Feci entrare la chiave nella serratura e la feci girare finché non scattò l'ingranaggio che fece aprire la porta rossa di casa mia.
Entrai e la casa mi sembrava deserta.
Controllai l'orologio: si erano già fatte le cinque del pomeriggio, ed essendo una stagione dove le giornate durano uno sputo, le luci del crepuscolo stavano già svanendo lasciando solo un blu profondo che sarebbe divenuto, a momenti, il nero pece della notte invernale.
Mia madre sarebbe dovuta tornare tra circa un'ora dal Register quindi avrei avuto del tempo per riflettere sul mio atteggiamento da bambina.
Me n'ero andata senza che in realtà lui l'avesse fatto con l'intenzione di offendermi: si, glielo si leggeva in faccia che non l'aveva fatto apposta, ma io avevo paura che stesse mentendo ed ho preferito scappare come una codarda invece di affrontarlo.

-codarda...codarda...codarda...- continuavo a ripetere a me stessa, per convincermi suppongo.

Quando i pensieri iniziavano a logorarmi mi diressi verso il bagno e mi feci una lunga doccia calda, per scacciarli via.
Quando ebbi finito, mi avvolsi nell'accappatoio e raccolsi i capelli in un asciugamano per evitare che gocciolassero.
Poi sentii la serratura scoccare, la maniglia girare, e la porta d'ingresso cigolare.
Mi si formò un nodo in gola.
Mi vestii alla velocità della luce mettendomi la prima cosa che avevo sotto mano.
Poi presi il phon, che era piuttosto pesante, e scesi lentamente le scale.

-c..chi è?- domandai con voce tremante di paura.

Quando arrivai alla fine della rampa però tirai un sospiro di sollievo.
Mia mamma con Luke erano sul bancone della cucina a preparare la cena.

-mamma...Luke- dissi con voce spezzata dallo spavento

-oh ciao tesoro, hai fatto una doccia? Meglio così mangiamo subito

Sorrisi a mia madre e lanciai uno sguardo interrogativo al ragazzo. Mia madre lo colse e rispose lei al posto suo.

-si, ho incontrato Luke davanti al Register mentre stavo chiudendo e lo invitato a cena, spero non ti dispiaccia- disse mia madre

Io sorrisi cercando di essere il più naturale possibile.

-certo che no! Mi...mi fa piacere- sorrisi di nuovo falsamente

Mi ero ripromessa che lo avrei lasciato: in parte anche per Jug, ma principalmente perché non lo amavo più, non sapevo manco se l'avevo mai amato. Però lo avrei fatto quando saremmo stati soli. Aspettavo solo il momento giusto.

-forza, ora mangiamo- ordinò mia madre

Ci sedemmo e cominciammo a cenare.
Eravamo disposti così a tavola:
Io e Luke vicini e mia madre davanti a me.
Più volte lungo la cena la mano sinistra del ragazzo vicino a me si poggiò sulla mia coscia, ma io in modo cortese gliela spostavo, ogni volta.
Non capivo come mai in questi giorni Luke volesse a tutti i costi un contatto fisico: è vero che ormai stando insieme da mesi uno voglia andare oltre ai baci, però io non ero pronta, e lui doveva capirlo e rassegnarsi.

La cena finì in fretta.
Quella sera c'era una riunione indetta dal sindaco McCoy alla quale dovevano partecipare gli adulti della città.
Quindi mia madre, dopo tutte le raccomandazioni del caso a me e al mio ragazzo, uscii di casa.
Io e lui rimanemmo soli nel salotto.
Per mia fortuna indossavo una manica lunga che non permetteva la visuale al tatuaggio, così non dovetti sorbirmi le domande di mia madre e del mio ragazzo.
Decidemmo di vedere un film che c'era in programmazione, ma ero talmente sfinita dalla pesante giornata: prima la colazione da Pop's, poi il tatuaggio e poi l'arrivo di quella Cheryl.
Volevo solo riposarmi.

-Luke, sono stanca, vado a dormire

Lui annuì

-sei sicura? Vuoi compagnia?

Sorrisi: lui con me era premuroso e gentile, cosa che Jughead non era riuscito a mantenere

-no tranquillo ho solo bisogno di riposarmi. Ti dispiace?

-figurati, aspetto che arrivi tua madre e poi vado

-d'accordo- mi chinai per dargli un bacio sulla guancia dopo di che mi diressi su per le scale entrando in camera mia.

Appena toccai il materasso caddi immediatamente in un sonno profondo.

2:17

Ero nel letto, e stavo dormendo, ma ero in un dormiveglia, o comunque in un sonno parecchio leggero.
Perché riuscivo a sentire tutti i rumori della via o della casa, però la stanchezza era tale da impedirmi di aprire gli occhi per definirmi sveglia.

Sta di fatto che ero sdraiata sul lato che dava le spalle alla porta, ed avevo le mani sotto il viso a farmi loro da cuscino, quando sentii la porta di camera mia aprirsi.
Pensai fosse mia mamma, che controllava stessi dormendo, ma poi un peso fece inclinare il materasso, segno che qualcuno si era seduto.
Mi girai lentamente e socchiusi gli occhi: la persona seduta era Luke.
Iniziai ad agitarmi, ma lui mi tappò la bocca con una mano.
Ebbi un terribile deja-vu:

Stavo camminando quando senza che sentissi nulla una mano da dietro mi tappò la bocca mentre con l'altra mi prese i polsi

Mentre non permetteva alle mie grida di uscire, con l'altra mano iniziò a toccarmi il polpaccio, salendo sempre di più finché non alzò lentamente la mia camicia da notte.
Nei suoi occhi si leggeva chiaramente desiderio ed io avevo già intuito cosa volesse farmi.
Delle lacrime cominciarono ad uscire mentre il mio corpo si dimenava sotto al suo tocco.
Quando ebbe alzato tutta la vestaglia, l'unico indumento che indossavo erano le mie mutande, di sopra ero completamente nuda.
Mi strinse con violenza il seno, mentre i miei singhiozzi aumentavano.
Sporsi la testa di lato: non volevo vederlo mentre mi faceva questo, mentre abusava di me; e intanto continuavo a piangere.
Poi lasciò il mio busto, che ormai sentivo indolenzito, per far passare con estrema lentezza la mano sulla pancia che al contatto si ritrasse all'interno.
Arrivo al bordo della mie mutande ed iniziò a giocarci tirando l'elastico.
Dentro di me volevo che succedesse subito, così non avrei sofferto vedendolo fare queste cose.
La sua mano scese ulteriormente finendo a toccare la mia intimità da sopra il tessuto della mia biancheria.
Strabuzzai gli occhi quando invece entrò sotto il cotone, iniziando a muoversi al mio interno.
Pensavo fosse la mia fine, ormai praticamente lo stava già facendo.
Dopo dei minuti che mi parsero un'eternità si staccò da me, liberandomi anche la bocca, per togliersi la maglia e i pantaloni restando così solo in boxer.
Ma io approfittai di quel momento: gli tirai con quanta forza riuscivo a raccogliere un calcio nelle parti basse che lo fece piegare in due ed io, senza preoccuparmi del mio aspetto e dei miei indumenti, scesi di scatto dal letto e dalle scale, uscendo nell'immediato dalla porta di casa, iniziando a correre a piedi scalzi.
L'aria gelida dell'inverno mi colpii furiosamente, poiché il mio pigiama era un vestito a maniche lunghe, ma pur sempre un vestito.
Per tutta la via di casa sentivo i suoi passi alle calcagna ma appena riuscii a mettere distanza lo sentii fermarsi, ma io non volli farlo.
Continuai imperterrita a correre con in mente una destinazione.
Appena arrivai ero impresentabile: avevo i capelli arruffati e bagnati dall'umidità e dalla neve che aveva iniziato a scendere, ero scalza con le caviglie tagliate dai ciottoli, indossavo una vestaglia, bagnata anch'essa, ed avevo ancora il terrore negli occhi.
Ma bussai e quando Jughead mi aprii la porta spalancò occhi e bocca e io mi gettai tra le sue braccia.

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