«Stai bene, Marinette?» chiese Adrien, preoccupato per la ragazza, la quale era lì pietrificata a fissare la mano tesa del biondo. Non ricevendo nessuna risposta, Adrien poggiò la mano sul braccio di Marinette, che, risvegliata dallo stato di trance da quel gesto, reagì: senza pensarci, abbracciò Adrien che, seppur sorpreso da quella reazione, ricambiò. Fu in quel preciso istante che il biondo avvertì una sensazione che non provava da anni: l'unica persona a provocargli quell'effetto era stata fino ad allora la madre Emilie.
Rimasero per qualche minuto abbracciati sotto il portico della scuola: Marinette riuscì a tranquillizzarsi tra le braccia di Adrien, il quale restò inebriato da quella bellissima emozione che aveva scaldato il suo cuore gelido.
Si staccarono contemporaneamente, fissandosi negli occhi: verde smeraldo nell'azzurro oceanico.
Resasi conto solo in quel momento del gesto istintivo appena compiuto, Marinette abbassò lo sguardo, mentre le sue guance assunsero un'intensa colorazione cremisi. Dal canto suo, Adrien fu lesto a ricomporsi, riassumendo la sua solita espressione seria: con un rapido movimento della mano, aprì il suo grande ombrello nero e, con un gesto galante degno di un vero gentleman, porse il braccio alla ragazza rinnovando l'invito di accompagnarla a casa, indicando con lo sguardo l'automobile bianca, fermatasi pochi minuti prima davanti all'istituto.
«G-Grazie, m-ma la mia s-scuola, cioè... la mia casa è proprio qui... lì!» balbettò Marinette profondamente imbarazzata. Indicò la pasticceria dei suoi genitori. Adrien si diede mentalmente dello stupido, ricordandosi solo in quel momento di quanto Plagg gli avesse parlato della bella pasticciera, riconoscendola poi, qualche giorno prima, nell'energica corvina dagli occhi azzurri. Senza scomporsi, fece un cenno all'autista e si rivolse a Marinette: «Ho notato che sei senza ombrello. Lascia che ti accompagni fino all'ingresso della pasticceria. Dopo questa piccola disavventura sarei più tranquillo a lasciarti al sicuro e soprattutto all'asciutto.»
Marinette appoggiò il suo braccio su quello di Adrien e, insieme, camminarono sotto la pioggia coperti dall'ombrello nero, raggiungendo, in poco tempo, la pasticceria Dupain-Cheng.
Durante il breve tragitto, Marinette tenne lo sguardo basso, nel tentativo di non incrociare quello di Adrien e soprattutto affinché il biondo non notasse il rossore delle sue guance; Adrien, invece, teneva sempre lo sguardo dritto di fronte a lui, con il suo solito portamento elegante, così com'era stato educato fin da piccolo.
«G-Grazie, A-Adrien...» sussurrò Marinette, tenendo sempre lo sguardo lontano da quelle ipnotiche iridi smeraldine. «Per tutto.»
«Devo scusarmi con te, Marinette. L'altro giorno mi sono comportato da vero cafone con te e con la tua amica Alya.» spiegò Adrien. «La verità è che invidio i cittadini di Parigi. Se si trovano in difficoltà hanno Ladybug, sempre pronta ad intervenire per aiutarli. Mia madre, invece, non è stata così fortunata: 5 anni fa è stata uccisa senza pietà proprio davanti alla nostra villa... Nessuno l'ha aiutata, nessuno ha visto nulla. È morta da sola. E il giorno in cui ho perso lei, ho perso anche mio padre.»
Era la prima volta che Adrien si confidava così con qualcuno: lui stesso se ne stupì, ma poi realizzò che, in qualche modo, Marinette aveva lasciato il segno con quell'abbraccio così spontaneo. Di lei si poteva fidare, ne era certo.
Dopo un attimo di stupore, Marinette gli accarezzò il braccio. Sorrise alzando lo sguardo: non disse nulla, ma a lui fu chiaro che era stato già perdonato.
«Posso offrirti qualcosa?» chiese Marinette. Iniziava a prendere confidenza, anche se le sue guance restavano dello stesso colore della tuta di Ladybug.
«Magari potrei giustificare il mio ritardo con Plagg, portandogli una cheesecake come quella che ha comprato l'altro giorno, quando ti ha praticamente svuotato la pasticceria.»Marinette ridacchiò.
Adrien inarcò le labbra in un sorriso: non era quello finto e forzato che regalava alle fotocamere durante i suoi servizi fotografici, stavolta era un sorriso sincero e genuino.
Una chiamata sul suo cellulare distolse la sua attenzione da Marinette: Plagg lo avvertiva di un'importante urgenza e reclamava immantinente la sua presenza a casa.
«Parli del diavolo...» Adrien ripose il cellulare nella sua tasca. «Devo andare ora.» Sospirò. «Ci vediamo domani a scuola, Marinette.»
Si chinò in avanti, scoccando un leggero bacio sulla guancia di Marinette: in quel preciso istante, il volto della corvina assunse tutte le sfumature di rosso possibili.
«A d-d-dom, a dima.... A-a d-domani, A-Adrien, m-ma perché balbetto?» farfugliò Marinette, mentre Adrien era lontano ed era già salito sull'automobile.
Tikki, che aveva assistito a tutta la scena, consolata dall'arrivo provvidenziale di Adrien in un momento di estrema difficoltà, non disse nulla, preferendo lasciare la sua amica con i suoi pensieri, ben consapevole che la freccia di Cupido aveva fatto centro nella bella ragazza.
Solo una volta salito in auto, Adrien si rese conto del gesto che aveva appena compiuto, stupendosi ancora una volta di quanto fosse naturale per lui comportarsi in quel modo con Marinette, nonostante la conoscesse da pochissimo.
Tornato a casa, Adrien incrociò Nathalie nel corridoio, affermando di essersi attardato a conoscere meglio il nuovo istituto. Giunse in camera, dove lo attendeva Plagg con un'espressione imbronciata.
«Si può sapere dove sei stato finora? La scuola è finita un'ora fa.» chiese prorompente.
«Mi sono attardato con Marinette.» Un velo di imbarazzo nella voce.
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Per Amore e per Vendetta
FanfictionUna vendetta non può mai definirsi giustizia, neanche se nasce dal desiderio di onorare la memoria di un amore perduto prematuramente. Un concetto molto comune, vero, antico come antiche sono le leggende che trascinano i personaggi di questa storia...