Capitolo 23

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Chat Noir parcheggiò la sua moto nera in un vicolo ad un paio di isolati dall'appartamento di Armand D'Argencourt.
Con il suo rampino raggiunse il tetto di un palazzo, dal quale poteva osservare il suo obiettivo.
Prima di entrare in azione si fermò a riflettere sulla storia raccontatagli da Plagg: l'origine delle sue straordinarie capacità, il legame indissolubile che aveva con l'uomo, l'intrigo in cui fu coinvolta, suo malgrado, la madre. Gli sembrava tutto assurdo. Tuttavia, credette sulla fiducia ad ogni singola parola.
Sentiva più vicina la meta, ora che aveva il quadro completo, sebbene si fossero aggiunte tante variabili. Prima su tutte, il coinvolgimento di suo padre: era stato lui a spingere i tre studenti nelle grinfie della Rouge & Noir. E lui stesso ne faceva parte. Restava da capire quanto fosse ancora coinvolto in essa. Lui, come gli altri nomi balzati fuori dal nulla e dei quali Plagg ne aveva scoperto da poco gli altarini. Uno di essi si trovava in un appartamento al terzo piano dell'edificio di fronte a lui, al di là della strada.
Era ironico pensare che stava per far visita all'uomo che avrebbe potuto rovinare tutto, con solo quella telefonata fatta a Gabriel.
Ritenne opportuno un approccio silenzioso per entrare nell'abitazione: raggiunse una finestra e, con l'utilizzo di un grimaldello, la scassinò, penetrando all'interno del salotto.
Camminò nella stanza, cercando di individuare la posizione del suo bersaglio.
Le mura erano costellate di mensole sulle quali campeggiavano numerosi trofei di competizioni vinte nel corso degli anni. Armand D'Argencourt era stato l'atleta di punta della Francia nelle gare di scherma in giro per il mondo. Al culmine della sua carriera, risultò positivo al test dell'antidoping dopo una vittoria alle Olimpiadi di Atene, nel 2004. Fu, dunque, squalificato e radiato da ogni competizione.
Seguì un periodo di grande depressione economica, che lo spinse a prendere accordi con la malavita, fino ad arrivare a prendere una poltrona al tavolo della Rouge & Noir: le sue immense doti di spadaccino erano utili.
Ciononostante, la sua fibra morale gli impedì di proseguire quell'accordo e finì per allontanarsene nel giro di pochi anni, non prima di aver risollevato i numeri del suo conto in banca ed ottenuto la licenza ad insegnare scherma in uno dei più prestigiosi istituti di Parigi.
Chat Noir proseguì in un piccolo corridoio che lo condusse in un altro salotto, comunicante col primo, ma più ampio.
Fu lì che trovò D'Argencourt, accomodato su un divano in pelle ed intento a riguardarsi le sue vecchie vittorie. Il maestro spense la tv e si alzò in piedi, squadrando l'intruso con i suoi grandi occhi castani. «Chat Noir. Mi chiedevo quand'è che avresti fatto visita a me.» si liberò del maglione di lana che indossava, restando solo con una canottiera bianca sopra a dei pantaloni da tuta neri.
Nella mano sinistra impugnava un fioretto, che lui amava lucidare ogni sera.
«Sai perché sono qui?» domandò Chat.
D'Argencourt rimase impassibile, fiero nella sua posa eretta. «Posso immaginarlo. La Rouge & Noir.» prese una pausa. «Temo che resterai deluso. Sono anni che mi sono allontanato da quel gruppo.»
«Resti comunque uno dei migliori bracci armati di cui si siano serviti. E, conoscendo le tue abilità, potresti conoscere l'identità di Papillon.»
D'Argencourt scosse la testa. «Non ho idea di chi sia.»
«Sembra sincero dal tono.» considerò Plagg all'auricolare.
«Anche se hai lasciato da tempo quel gruppo, hai le tue colpe da pagare.» disse Chat.
«Lo so. Non ti nascondo che da tempo desideravo affrontarti in un duello. Ho letto e sentito delle tue incursioni. Hai acceso in me lo spirito della competizione.» D'Argencourt alzò il fioretto davanti al volto, tipico saluto che eseguono gli schermidori prima di una gara.
Chat estrasse la sua katana ed imitò il suo oppositore.
Aveva deciso di non portare con sé il nuovo arco, ritenendo che gli facilitasse troppo il compito e lui necessitava di difficoltà. Incrociare le lame con un pluricampione di scherma era una sfida ai limiti del possibile, ma lui doveva dimostrare, soprattutto a sé stesso, che era degno della promessa fatta in nome di sua madre. Lui poteva adempiere con successo la missione.
«En garde!» D'Argencourt diede il via allo scontro.
Chat riuscì a tenere testa al suo maestro di scherma nelle fasi iniziali.
Studiandone i movimenti cercò un punto debole da sfruttare, ma D'Argencourt sembrò non averne, cosa che lo costrinse a stare sulla difensiva.
D'Argencourt aveva un movimento di gambe da vero campione e, più volte, mise in seria difficoltà la guardia di Chat, il quale non trovava spazio di attacco.
La situazione era in stallo. Nessuno dei due sembrava poter avere la meglio sull'altro. Chat si impose di agire con freddezza senza cedere ad impulsi e ciò lo mise in una posizione di vantaggio: stando sulla difensiva, non solo avrebbe potuto sfruttare eventuali aperture o errori, ma consumava molte meno energie.
Dall'alto della sua esperienza, D'Argencourt comprese questa situazione e, quindi, azzardò un affondo diretto. Quello che Chat aspettava. Puntando i piedi a terra, Chat spinse la lama dell'avversario verso l'alto, poi, ruotando il corpo di 180 gradi, lo ferì alla gamba con la katana.
D'Argencourt digrignò i denti, senza emettere alcun suono. Aveva un'alta resistenza al dolore. Alcune gocce di sangue caddero sul pavimento bianco.
Per D'Argencourt, la situazione era complicata. Chat Noir gli sembrava quasi un androide: non si lasciava trasportare dalle emozioni, una qualità fondamentale per un atleta di alto livello. Se avesse voluto conquistare una possibilità di vittoria, avrebbe dovuto rischiare il tutto per tutto.
Allargò le braccia e lasciò scoperto l'intero torace. La sua postura suggeriva: "Colpiscimi, sono scoperto."
Chat riconobbe quel gesto: era una strategia che D'Argencourt utilizzava a lezione per spiegare la psicologia inversa in un duello. Prestare il fianco per poi contrattaccare in modo decisivo.
Adrien veniva sempre sconfitto grazie a quella tecnica.
Ma, in quel momento, aveva altre motivanti, molto più solide. Doveva vincere.
Pochi secondi gli furono sufficienti per pensare ad una contromossa. Finse di attaccare con un affondo, la mossa più banale da mettere in atto. D'Argencourt strinse la presa sul fioretto e ruotò il braccio dall'alto verso il basso, ma Chat riassunse una posa difensiva, parando il brutale colpo. La forza del contraccolpo, unita allo stupore, fece barcollare D'Argencourt all'indietro, lasciandogli scoperti i punti critici del corpo, stavolta per davvero.
Con un fendente diagonale, Chat lacerò il petto dell'avversario. D'Argencourt emise un gemito di dolore e cadde sulle ginocchia, premendo forte con la mano sulla ferita.
Infine, lasciò cadere la sua arma. «Ben fatto, Chat Noir.» un sorriso apparve sotto i folti baffi alla francese. «Accetto la sconfitta. Fa quello che devi.»
«Wow! Un vero gentleman.» borbottò Plagg.
Chat portò la mano che impugnava la katana sul petto, all'altezza del cuore, in segno di rispetto. «Accetto la tua resa. Sei un uomo d'onore, Armand.»
D'Argencourt fu sorpreso da quella mossa, ma ne fu lo stesso sollevato.
«Fammi un favore.» disse Chat, prima di lasciare l'appartamento. «Non fare parola con nessuno di questo incontro.»

«Sicuro della tua decisione, Adrien?» chiese Plagg all'auricolare.
Chat aveva appena lasciato casa D'Argencourt e raggiunto la moto nel vicolo. «Sicurissimo. Lo conosco abbastanza da capire che non apprezzava i metodi della Rouge & Noir. Il suo fanatismo per lo sport è stata la sua condanna. Farà i conti con la sua coscienza, se non l'ha già fatto. Stasera, entrambi abbiamo ottenuto quello che volevamo.» si interruppe per un istante. «Lui ha ottenuto il duello che voleva...»
«E tu sei tornato in pista. E alla grande. Torni qui?»
«No. Ho bisogno di vedere una persona e lo devo fare stasera.»
Plagg attese il nome, senza chiedere nulla.
«Plagg, dimmi l'indirizzo di Wang Fu.»

Marinette era sul terrazzino della sua stanza ad osservare il cielo pieno di stelle. Ve n'era una, la più luminosa, la più grande, la più bella. Per lei rappresentava Adrien. Poi, ve n'era un'altra, più piccola e nascosta, ma altrettanto luminosa. Lei pensò subito a Luka.
Si fermò a ricordare al tempo passato con il giovane amante del rock: era allegro, divertente, gentile. La ricopriva di galanti complimenti, ma, allo stesso tempo, era discreto e per nulla invadente. La faceva stare bene. Quando era con lui, non sentiva quella morsa allo stomaco che sempre l'accompagnava da quando si era innamorata di Adrien. Non pensava al bel modello quando era con Luka, ma questi non riusciva a farle battere il cuore all'impazzata, a sentire le famose farfalle nello stomaco. Era un amico. Nulla di più che un buon amico.
Sospirò mentre si stringeva nel suo maglione di lana, avvertendo un gran freddo alle membra.
Rientrò nella stanza e si accomodò accanto alla scrivania, intenta a navigare su Internet. I vari siti di notizie, compreso il blog di Alya, traboccavano di articoli riguardanti la misteriosa scomparsa di Ladybug dopo la notte di Natale. Oltre ad Audrey Bourgeois, anche altri ostaggi avevano testimoniato di essere stati tratti in salvo dalla supereroina, prima di vederla sparire a seguito dell'esplosione.
In tanti portavano avanti l'ipotesi che fosse ferita, al punto da dover stare per un lungo periodo lontano dalle battaglie, supposizione non tanto lontana dalla realtà. Altri, invece, avevano idee più pessimiste ritenendo che la supercoccinella non fosse mai uscita viva dall'hotel Bourgeois.
Marinette sperò con tutto il cuore che i parigini credessero alla prima ipotesi. Anelava di poter tornare a vestire il suo costume rosso, ma Tikki aveva ragione: doveva aspettare il momento giusto.
Con riluttanza, aveva spento il dispositivo con il quale il commissario la contattava.
La madre bussò alla botola. «Marinette, posso entrare?»
Ottenuto il permesso dalla figlia, Sabine entrò nella stanza. Aveva un gioioso sorriso dipinto sul volto. «Ho una notizia per te.» attese che Marinette le desse la più completa attenzione, quindi disse: «Ricordi il signor Fu?» Marinette annuì. «È tornato e ha riaperto il suo centro massaggi. L'ultima volta ne hai tratto grandi benefici, quindi perché non approfittarne?»
«È una splendida notizia, mamma!» dichiarò Marinette.
Prima di congedarsi, Sabine stampò un affettuoso bacio sulla fronte della ragazza, raccomandandosi di non fare tardi.
Una volta richiusa la botola, Tikki uscì dal suo nascondiglio. «Sembri molto entusiasta della notizia, Marinette.»
«Ovvio che lo sia. Ho un felicissimo ricordo legato a quel centro massaggi.»
Tikki assunse un'aria interrogativa.
«Lo stesso giorno in cui sono andata lì, ho conosciuto te.» Marinette accarezzò il capo della sua piccola amica. Le sue stesse parole la fecero trasalire di colpo. «Possibile che...» mormorò a bassa voce. «Tikki! È possibile che sia stato quell'uomo, il maestro Fu, a consegnarmi il Miraculous?»
Tikki allargò le braccia, confusa. «Non è da escludere. Ma perché pensi sia stato proprio lui?»
«Un giorno qualsiasi incontro un uomo di origini orientali, si interessa a me in modo piuttosto accanito e il giorno stesso mi viene recapitata una scatolina con incisi simboli cinesi sopra. Non ti sembra un po' curioso?»
«In effetti... Ma cosa intendi fare? Piombare lì e dire su due piedi: "Salve, maestro Fu. Si ricorda di me? Sono Marinette. È lei che mi ha donato il Miraculous che mi consente di trasformarmi in Ladybug?"»
«Chi ha detto che sarà Marinette a fargli queste domande?» lo sguardo della ragazza si incendiò di determinazione.
«Marinette, non so se...»
Marinette la tranquillizzò: «Sarò discreta. Mi vedrà solo lui, promesso.»
Tikki acconsentì. Si fidava ciecamente dell'istinto dell'amica.

Ladybug sfrecciò nei cieli di Parigi, raggiungendo Rue Edouard Colonne in poco tempo.
L'esterno del centro massaggi era esattamente come lo ricordava lei, solo rovinato dall'incuria.
Non aveva ancora deciso come avrebbe fatto ad entrare, ma si accorse che non era necessario: la finestra del salottino era aperta. Penetrò nel locale, nella speranza di non spaventare l'uomo. La scena che si ritrovò davanti la lasciò attonita: la stanza era messa a soqquadro; Fu steso sul pavimento senza sensi, con lividi e ferite sul volto. E, soprattutto, chino su di lui un uomo incappucciato, Chat Noir.
L'arciere avvertì la sua presenza ma non si voltò. «Non so quanto valga la mia parola per te, ma non sono stato io.»
Ladybug digrignò i denti ed afferrò il suo yo-yo. «Difficile crederti.»
Chat si guardò intorno con circospezione, cercando tracce utili. Non trovò nulla.
«Ho già chiamato i soccorsi.» Chat si rialzò e guardò Ladybug. «Arriveranno a breve. Dovremmo andar via subito. Non è prudente che ci trovino qui.»
Ladybug esitò: non sapeva se fidarsi o meno delle parole dell'incappucciato. Alla fine, memore delle parole di Tikki, annuì e balzò fuori dalla finestra insieme a lui.
Si fermarono sul terrazzo di un palazzo, dal quale avevano una perfetta visuale: una volante della polizia con tre agenti ed un'ambulanza si fermarono all'ingresso ed entrarono nell'edificio.
«Non troveranno nessun indizio.» affermò Chat. «Ho esaminato la scena attentamente.» si voltò e vide Ladybug che lo osservava a braccia incrociate con un leggero ghigno.
«Nuovo costume?» chiese lei.
«L'altro era rovinato dalla nostra ultima avventura.»
«Complimenti al tuo stilista.»
Chat sorrise senza farsi notare. Cominciava ad apprezzare il tono sfacciato col quale Ladybug si rivolgeva a lui.
«Ringraziala da parte mia. Finalmente qualcuno che apprezza il mio stile.» disse Plagg all'auricolare.
Ladybug tornò seria, ripensando a quanto aveva appena visto. «Se non sei stato tu, allora perché eri lì? Problemi alla schiena?»
«Credo per lo stesso motivo tuo.»
Ladybug restò perplessa.
«Il Miraculous.» sentenziò lui.
Lo stupore invase il volto di Ladybug. «Come hai detto?»
«Miraculous. È la fonte del tuo potere, o sbaglio?»
«Come fai a saperlo?»
«So molte cose, Ladybug. Molte più di quanto immagini. E tutte portano da Fu. Per questo ero qui.»
Ladybug continuò ad essere confusa, oltre che sconvolta. Scosse la testa. «Chi ti ha raccontato queste cose?»
«Una persona che conosce Fu. Sa tutto sui Miraculous.»
Quella rivelazione fermò per qualche istante il cuore di Ladybug, ma Chat la tranquillizzò: «Non è pericolosa, tranquilla. Ma sa molte cose e ciò la rende vulnerabile... Come Fu.»
«Pensi che sia stato aggredito per questo?»
Chat strinse le spalle e si voltò a guardare la barella, sulla quale era stato accomodato Fu. «Non credo. Penso che il motivo fosse un altro.»
«Quale?»
Chat girò il capo verso lei. «Sapere il tuo vero nome.»


Angolo Autore:
Salve ragazzi!
A questo punto, ci voleva un ritorno all'azione. E quale migliore occasione se non un duello tra l'allievo e il suo maestro? Durante lo scontro, ho voluto citare la mossa che D'Argencourt utilizza anche nella serie, nell'episodio in cui viene akumizzato.
Adrien ha finalmente ritrovato il suo spirito battagliero, la sua determinazione. Allo stesso tempo, anche Marinette torna a rivestire i panni della supereroina di Parigi, ma subito si ritrovano a dover fare i conti con l'ennesimo mistero. Chi avrà aggredito il povero Fu? E quale altri segreti nasconde la Rouge & Noir?
Quesiti che presto troveranno risposta, quando tutti i nodi verranno al pettine.
Come sempre, vi ringrazio per il vostro supporto a questa storia e vi do appuntamento a Venerdì per il capitolo 24.
Alla prossima.
Nike90Wyatt

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