Capitolo 10

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La notizia del rapimento di Adrien Agreste si diffuse in poco tempo a macchia d'olio, nonostante fosse passata circa un'ora dalla sua scomparsa.
La piazza antistante al Louvre era gremita di giornalisti, fotografi e curiosi. Di fronte all'ingresso, gli agenti di polizia agevolarono l'uscita dei visitatori del museo, mentre, poco lontano da lì, il commissario Raincomprix, scomodatosi di persona data l'importanza del caso, rassicurava Plagg e Nathalie, giunti sul posto appena ricevuta la chiamata; accanto a loro, Nino ed Alya seguivano la vicenda con apprensione, preoccupati anche per la scomparsa di Marinette, ritenendo che potesse essere stata coinvolta nella faccenda, essendo in compagnia di Adrien.
Un urlo di ammirazione si levò dalla folla, quando Ladybug comparve nei cieli, abbracciata al giovane Agreste; la supereroina atterrò a pochi passi da Nathalie e Plagg, il quale si gettò subito tra le braccia dell'amico, sollevato dalla risoluzione positiva della situazione.
«Stai bene, fratello?» chiese sussurrando al suo orecchio. Adrien, colta la preoccupazione dell'uomo, mosse il capo in gesto affermativo e batté più volte la sua mano sulla schiena del suo amico, come a volerlo rassicurare.
Una volta sciolto l'abbraccio, Plagg rivolse lo sguardo verso Ladybug, volenteroso di ringraziarla, ma lei eseguì un piccolo gesto con la mano a mo' di saluto e si congedò, sfuggendo alla calca, preoccupata di tornare a vestire i suoi panni civili in modo da tranquillizzare i suoi amici.
Adrien si avvicinò ad Alya e Nino e, notando subito l'assenza della loro amica, chiese deciso: «Dov'è Marinette?»
Alya e Nino si guardarono negli occhi, poi la ragazza scosse la testa facendo intendere di non avere notizie a riguardo. Prima che Adrien potesse ribattere a quel gesto, invitando i presenti a cercarla, intervenne Nathalie. «Signorino Adrien, dobbiamo andare.»
«Non ora, Nathalie.» sbottò stizzito Adrien, con in mente un unico pensiero: trovare Marinette. 

Anche Plagg volle appoggiare il suo amico, ma Nathalie, incurante delle sue preghiere, si rivolse  al modello con un tono più severo: «Signorino Adrien! Suo padre la sta aspettando con impazienza.»
«Non. Ora!» ringhiò Adrien con occhi pieni di rabbia. «Non mi muovo da qui finché non troviamo Marinette. Andiamo a cercarla, Plagg.» ordinò perentorio, mentre Plagg cercava di tranquillizzarlo: poche volte lo aveva visto così furente ed ogni volta era finita sempre molto male.
La situazione sembrò degenerare ma, fortunatamente, un agente di polizia, incaricato di ispezionare le sale, uscì dal museo affiancato dalla bella corvina dagli occhi azzurri.
La prima a reagire fu Alya. Corse tra le braccia dell'amica stringendola con tanto affetto. «Dov'eri finita?» non riuscì a nascondere le lacrime; anche Nino le raggiunse cingendo entrambe con le sue braccia.
«Sono rimasta chiusa in un bagno.» disse Marinette con la voce ovattata dalla stretta calorosa dei suoi amici. «Ho gridato aiuto, ma nessuno mi ha sentita. Cos'è successo?»
«Nulla, ora è tutto finito.» affermò Nino, voltando lo sguardo in direzione di Adrien, rimasto quasi paralizzato alla vista di Marinette.
Il biondo tirò un lungo sospiro di sollievo, muovendo un passo verso gli amici, ma la mano di Plagg, poggiata sulla sua spalla lo fermò. «Per ora meglio andare, Adrien. Non è saggio far aspettare tanto tuo padre.»
Adrien lo guardò con occhi caritatevoli. «Ma...»
«Sta bene Adrien, tranquillo. Tornato a casa puoi sempre chiamarla.»
Adrien decise di ascoltare l'amico ed insieme entrarono nella lussuosa berlina lì parcheggiata, dopo aver salutato il commissario ed averlo ringraziato per aver tenuto lontani i giornalisti; Nathalie, invece, ignorò tutti e, stizzita, si accomodò sul sedile anteriore dell'auto.
Nel tragitto che li separava da villa Agreste, Adrien e Plagg non proferirono parola, sordi anche ai rimproveri di Nathalie per non aver rispettato le disposizioni di monsieur Agreste.
Come prevedibile, Gabriel attendeva il ritorno del figlio in piedi sulla cima delle scale dell'atrio d'ingresso. Vedendolo lì, Plagg istintivamente sussurrò all'amico: «Non vorrei essere nei tuoi panni.»
Adrien osservò il padre con espressione distaccata: il rapimento per lui non era stata un'esperienza piacevole, ma ciò che più lo aveva tenuto in ambasce erano le condizioni di Marinette.
Una volta sicuro della sua incolumità, tutto il resto gli era scivolato addosso, quindi non era preoccupato di subire uno scatto d'ira.
«Finalmente...» mormorò in tono autoritario Gabriel. «Perché tutto questo tempo?»
«Scusa, papà. La prossima volta chiederò ai rapitori di lasciarmi andare prima.» Adrien inarcò il sopracciglio come se volesse far notare la stupidità di quella domanda, mentre Plagg tossì rumorosamente distogliendo lo sguardo.
«Non osare avere questo atteggiamento con me, Adrien!» Gabriel alzò il tono della voce andando in escandescenza. «Ti avevo avvertito di quanto pericolosa potesse essere Parigi. D'ora in avanti uscirai sempre con la guardia del corpo e non ammetto repliche. Bada bene...» puntò il dito contro il figlio a mo' di minaccia. «Al prossimo sgarro prendi il primo volo per l'America e qui non torni più. Sono stato chiaro?»
Adrien annuì col capo con indifferenza; Plagg lo colpì alla schiena, facendogli intendere che non avrebbe dovuto tirare troppo la corda. Così, seguendo il silenzioso suggerimento dell'amico, Adrien rispose: «Cristallino.»
Gabriel, ancora alquanto irritato, si rivolse a Plagg: «Che non capiti mai più. Cerca di tenerlo a bada.»
Per una volta, Plagg ponderò bene di tenere un atteggiamento serio. «Lo terrò a bada, Gabriel.»
«Non deludermi.» Gabriel girò i tacchi e si rintanò nel suo studio.
«Suggerisco di andare in camera e di restarci, signorino Adrien.» intervenne Nathalie, prima di congedarsi anche lei.
Entrato nella sua stanza, seguito da Plagg, Adrien si spogliò della felpa che indossava e della canottiera; raggiunse l'angolo palestra ed iniziò a sollevare il bilanciere sulla panca, in modo da rilasciare tutta l'adrenalina che aveva in corpo.
Plagg osservava il suo amico ripetere fino allo sfinimento quell'esercizio, in assoluto mutismo, riflettendo su quale sarebbe stata la mossa successiva: la mattina prima, Gabriel aveva fatto tante, troppe domande sospettose e, quel giorno, Adrien era stato vittima di un rapimento. Non escluse del tutto l'idea che potesse essere stato proprio lo stilista ad organizzare il tutto, ottenendo poi la giustificazione per tenerlo ancora di più sotto controllo; poi, fu più propenso a sospettare di qualcuno presente in quell'elenco di nomi, l'obiettivo di Chat Noir. Adrien e l'arciere erano apparsi lo stesso giorno a Parigi e la descrizione fisica coincideva: era necessario trovare un modo per sviare i sospetti, cosicché il suo amico non corresse più rischi di questo tipo.
Solo quando era completamente distrutto, Adrien interruppe il suo allenamento, lasciando andare le braccia penzoloni steso sulla panca, con i capelli biondi grondanti di sudore così come il suo torace.
Respirava affannosamente ma parve svuotato di tutta quella rabbia, frustrazione, tensione accumulata quel giorno.
Plagg gli si avvicinò e gli porse la sua borraccia contenente l'integratore di sali minerali che era solito consumare dopo un'intensa sessione. «Va meglio?» si accomodò sul divano bianco.
Adrien bevve a piccoli sorsi la borraccia mentre riacquistava un respiro più regolare e i battiti del suo cuore rallentavano. «Plagg... Se le fosse successo qualcosa...»
«Non te lo saresti mai perdonato, lo so. Tieni molto a lei, vero?»
Adrien girò la testa per guardare il suo amico: non aveva il solito sguardo freddo, ma occhi ricolmi di sorpresa.
«Ho visto come la guardi, Adrien.» proseguì Plagg, con un tono da vero fratello maggiore. «Ho visto come s'illuminano i tuoi occhi quando parli di lei.»
Il modello si portò un braccio alla fronte, fissando il soffitto con sguardo assente. «Più di quanto voglia. Non so perché, ma il solo stare vicino a lei mi fa stare sereno, in pace. Non mi sentivo così da quando...» si interruppe; il solo ripensare a quei momenti felici che viveva con la madre gli provocò una stretta al cuore, così decise di troncare lì quella conversazione. Si alzò dalla panca e si diresse verso il bagno per una doccia rigenerativa.
Plagg, nel frattempo, chiuse gli occhi gettando la testa all'indietro, poggiandola sullo schienale: sul volto aveva dipinta un'espressione gioiosa e non il solito ghigno malizioso che assumeva ogni volta che si toccava l'argomento "ragazze".
Aveva intuito che Adrien, dopo quattro anni passati in quasi totale solitudine, concentrato del tutto sul suo addestramento psicofisico, sentiva il bisogno di un particolare tipo di affetto e che, esperto com'era nel saper leggere le persone, aveva trovato in Marinette ciò che cercava. Doveva solo capirlo.
Rallegrato da quei pensieri, ritornò sul delicato tema dell'identità segreta di Chat Noir: ritenne opportuno posticipare la discussione con Adrien al giorno successivo, prendendosi la notte per riflettere.
Uscendo dalla doccia, Adrien rilassò i suoi muscoli e proseguì la conversazione con l'amico: «Pensi davvero che dovrei chiamarla per sapere come sta?»
Plagg rise; raccolse il cellulare gettato sul divano e lo lanciò al modello che lo afferrò al volo. «Non fare troppo tardi con la tua Lady Marion. Domani andiamo a fare una passeggiata. Dobbiamo discutere di un fatto importante.» ammiccò e batté la mano sulla spalla di Adrien, congedandosi prima che il biondo riuscisse a controbattere.

Marinette si distese sul suo letto, dopo una giornata stressante; sciolse i suoi codini lasciando cadere i capelli corvini sulle spalle ed appoggiò la testa sul cuscino senza chiudere gli occhi.
Al suo ritorno a casa era stata coccolata per tutto il resto della giornata dai suoi genitori, cancellando tutta la tensione accumulata a causa dell'apprensione nel ricevere la notizia della scomparsa dell'adorata figlia. Grata per l'immenso affetto che le donavano ogni giorno, la ragazza passò più tempo possibile accanto a loro, dilettandosi in numerosi giochi di famiglia o preparazioni di fantasiosi dolci.
«Mi dispiace averli fatti preoccupare così tanto oggi.» disse a Tikki, accoccolata nella sua graziosa cuccetta.
«Tranquilla, Marinette. Hai agito bene. Dovevi mantenere segreta la tua identità e hai pensato ad un piano perfetto. Ammetto che è stato divertente rompere quella serratura.» Tikki rise.
«Io però mi sono divertita meno a restare chiusa in quel bagno.» Marinette ripensò a quel momento. «Per fortuna quell'agente è venuto in tempo, altrimenti credo che avrei scoperto di essere claustrofobica. Pensi che Adrien stia bene?»
Tikki alzò le spalle con incertezza. «Perché non lo chiami così da accertartene?»
«Scherzi?» esclamò Marinette con occhi sbarrati. «E se stesse già dormendo e io lo svegliassi? Che figura ci farei?»
«Allora chiamalo domani mattina.»
«E se lo disturbassi? E se non avesse voglia di sentirmi dopo che l'ho completamente ignorato oggi quando...»
«Marinette!» gridò Tikki per interrompere quell'infinito sproloquio senza senso. «Smettila con queste tue paranoie.» disse in tono di rimprovero. «Tu sei fantastica, nessuno rifiuterebbe la tua compagnia, men che meno un ragazzo come Adrien.»
«Ma hai visto come è andato via, senza degnarmi di uno sguardo?»
La loro discussione fu interrotta dall'improvviso trillo del cellulare di Marinette, poggiato nello scaffale posto alle spalle del suo letto, accanto alla casetta della bambole dove riposava Tikki; perplessa e sorpresa data l'ora, Marinette lo raccolse e, vedendo il nome comparso sullo schermo, lanciò un urlo acuto seguito da un balzo sul letto, facendo volare il dispositivo. I riflessi pronti di Tikki impedirono una rovinosa caduta al cellulare.
«È, è, è A-Adrien.» balbettò Marinette, con l'indice tremolante puntato verso lo schermo.
Tikki le porse il dispositivo. «Beh, rispondi, no?»
Vedendo, però, Marinette pietrificata come una statua di sale, aggrottò le sopracciglia e, con un gesto di sfida, premette sul display il tasto per accettare la chiamata.
Marinette impallidì all'istante sentendo quasi il cuore fermarsi.
«Rispondi e cerca di essere naturale!» sussurrò con espressione severa Tikki, indicando lo smartphone.
Con la mano tremolante, la ragazza afferrò il telefono e si schiarì la voce. «P-Pr-Pronto?»
«Marinette!» esclamò Adrien, dall'altro capo del telefono. «Scusa se ti chiamo a quest'ora.»
«Ehi Adrien. Qual buon vento?» Tikki si schiaffeggiò la fronte alle parole dell'amica; anche Marinette si accorse subito di ciò che aveva detto e cercò di rimediare: «C-Cioè volevo dire: dimmi pure, Adrino... Adrien!»

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