Capitolo 2 - Indovinate chi é tornato?

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LEYLA

Giungo in istituto un quarto d'ora dopo il suono della campanella sperando di non incontrare nessuno, visto il mio ritardo, ma mi illudo inutilmente, come sempre penso.
Tra gli sguardi indagatori e i bisbigli insopportabili di professori e studenti, che cercano di capire in che modo la personalità della ragazza, un tempo la più popolare ed ammirata della scuola, sia stata scalfita al punto da spingerla a sparire da Monaco per tutta l'estate, trovo una faccia amica, l'unica che potrei trovare tra queste mura opprimenti, e mi dirigo verso di lei a passo spedito.
"Ehi Michelle" esordisco rivolgendomi alla mia migliore amica con un tono non troppo esaltante.
"Ehi Leyla, come stiamo oggi? In ritardo come sempre eh" mi punzecchia lei rivolgendomi un sorriso rassicurante.
"Già, prossima domanda per piacere" rispondo con un sorriso troppo tirato per i miei gusti notato anche da Michelle che però evita qualsiasi commento.
Grazie al cielo.
"Il preside vuole che ci spostiamo tutti in palestra per un annuncio speciale" afferma la mia amica appoggiando i libri che non userà nell'armadietto color rosso borgogna attraversato da due strisce bianche.
Che palle.
Alzo gli occhi al cielo immaginando il solito discorso infinito e noioso circa la maturità che dovremo sostenere a fine anno, l'impegno e la costanza che dobbiamo mettervi per raggiungere il massimo risultato e bla, bla, bla mentre ci incamminiamo verso la nostra meta.
La palestra si trova nel piano terra ed é raggiungibile solamente attraverso le scale antincendio in acciaio accessibili dall'ala est della scuola dove si trovano anche gli spogliatoi maschili e femminili.
Mi blocco di colpo sulla porta, beccandomi spallate a destra e manca accompagnate da commentini come "Levati" o "Sbrigati", dopo aver volto lo sguardo verso il panorama che mi si presenta davanti.
Una marea di ricordi riaffiorano alla mia mente impedendo a qualsiasi stimolo proveniente dal cervello di raggiungere il resto del mio corpo provocando in me una serie di emozioni contrastanti.

È la finale di campionato tra Monaco e Nizza. Mancano due minuti alla fine della partita che mi è sembrata infinita, guardo il tabellone luminoso appeso al soffitto ed il risultato è di trentotto pari.
Rivolgo il mio sguardo al campo e vedo mio fratello correre con la palla verso la porta avversaria ma un giocatore blocca il suo allungo facendolo cadere rovinosamente a terra provocando le lamentele della squadra e dei tifosi che si scaldano contro quest'ultimo.
L'arbitro raggiunge velocemente i giocatori dividendoli ed evitando così una rissa, decide di riconoscere l'azione come fallosa e dando alla squadra di casa due tiri liberi.

Trenta secondi.

Martin si pone di fronte al canestro con la palla arancione e nera davanti al viso ispirando profondamente, come se dovesse correre una maratona.
Riapre gli occhi e solleva le braccia spingendo il pallone verso il cerchio rosso fuoco.
In palestra c'è un silenzio tombale che viene rotto da sbuffi di disapprovazione dopo che mio fratello ha sbagliato il tiro.
"Merda" penso tra me e me, "Dai Martin hai un'altra possibilità, ce la puoi fare, fagli vedere chi sei!" gli urlo dalle tribune seguita da grida di supporto dei tifosi e delle cheerleaders  a bordo campo.
Mio fratello si volta verso di me e mi sorride, uno dei sorrisi più belli mai visti prima d'ora poi di gira nuovamente verso il canestro con un'aria di sfida.
Il pallone prende il volo dalle braccia muscolose e possenti di Martin, tutto intorno a me sembra essere rallentato; i tifosi trattengono il respiro trasmettendo un'atmosfera di suspence da film horror, le cheerleaders stringono intensamente i pom pom tra le loro mani sudate ed io, in piedi appoggiata alla sbarra di sicurezza appena riverniciata in rosso, prego con tutta me stessa che entri nel canestro.

Cinque secondi.

La palla rimbalza sul cerchio roteando su questo troppe volte per essere contate e alla fine vi entra rimbalzando successivamente sul parquet chiaro della palestra.
Trentanove a trentotto per Monaco.
La folla esplode in un rombo di sollievo e felicità per la vittoria dirigendosi verso il campo per festeggiare ma io non riesco a individuare mio fratello fino a che due mani mi stringono da dietro e sento sussurrare un "grazie" da una voce roca e profonda che riconoscerei ovunque.
Martin.

L'ennesima spallata mi riporta alla dura realtà, sbatto gli occhi annebbiati ed entro ammirando il luogo che conosco troppo bene; la palestra è ricoperta da striscioni rossi e bianchi rappresentanti i colori della scuola con frasi di incitamento appesi in cima alle tribune sui cui sono ammucchiati gli studenti dell'istituto in attesa del fatidico discorso del preside.
Prendo posto vicino alla mia migliore amica, in un angolino per non dare troppo nell'occhio, e, nonostante percepisca nitidamente le occhiatacce dei miei coetanei che mi seguiranno per il resto dell'anno, cerco di ignorarle il più possibile concentrandomi sul microfono nero pece posizionato al centro del campo.
Il preside prende posto di fronte ad esso, indossa un completo nero in velluto abbinato ad una semplice camicia in lino, e dopo aver verificato il buon funzionamento del dispositivo con un "prova, prova, prova" inizia il suo discorso con parole che mai mi sarei immaginata.

...
Ed ecco il secondo capitolo!
Lo so non è il massimo visto che è un capitolo di passaggio ma già dal prossimo ci sarà un bel po' di casino!
Spero vi sia piaciuto e se vi va lasciate una stellina e magari anche un commento.
Baci
L

Come primule nell'oceano // Charles LeClercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora