Capitolo 40 - Analogie

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CHARLES

Coraggio.
Forza d'animo connaturata, o confortata dall'altrui esempio, che permette di affrontare, dominare, subire situazioni scabrose, difficili, avvilenti, e anche la morte, senza rinunciare alla dimostrazione dei più nobili attributi della natura umana.

È il primo termine che sorge nella mia mente al pensiero di Leyla.
La mia Leyla.
Ho sempre ammirato questo suo pregio di affrontare le situazioni a testa alta, senza farsi influenzare dall'opinione altrui.
Lei era coraggiosa, io no.
Io sono un semplice codardo che scappa dalla vita alla prima difficoltà. Io sono un vigliacco che non ha le palle di vedere il suo corpo.
Sapevo che me l'avrebbero portata via. Ero sicuro che se le avessi dato il mio amore, lei sarebbe andata via.
E così è stato.
Tutto ciò che tocco, muore nelle mie mani.

Non so da quanto tempo sono qui, su questa panchina congelata, a fissare una coppia felice che gioca insieme ai figli in un parco giochi del centro.
Lui avrà una trentina d'anni, lei qualche anno in meno.
Lui biondo con gli occhi azzurri, lei mora con gli occhi verdi.
Sono felici, sui loro volti sono dipinti i sorrisi più sinceri. Quelli che mi rivolgeva Leyla quando le dicevo di amarla, quelli che io le rivolgevo quando notavo la sua felicità che mi riempiva il cuore.

La mia attenzione viene attirata da una figura che si siede al mio fianco. È un uomo, anche lui sulla trentina, con i capelli castani e gli occhi verdi. Mi assomiglia tremendamente.
"Come si chiama?" Mi chiede lui qualche secondo dopo mettendosi le mani in tasca per non farle congelare.
"Chi?" Chiedo io senza capire.
"Lei, come si chiama?"
"Oh — Mi prendo qualche secondo prima di pronunciare il nome che non vibra dalle mie labbra da tempo — Leyla."
"Lila — l'uomo indica la donna che gioca nel parco — Era l'amore della mia vita ma l'ho lasciata andare."
"Perché?" Non so da dove venga questa audacia ma voglio sapere ancora di più di questa storia.
"Perché sono stato un codardo. Non l'ho affiancata nel momento del bisogno e poi è arrivato lui, Renzo, e me l'ha portata via."
"Oh, mi dispiace."
"Conosco quello sguardo ragazzo, è lo sguardo di chi ha paura di perdere qualcuno. È lo stesso che avevo io qualche anno fa, proprio su questa panchina. Non ti permetterò di commettere lo stesso mio errore, quindi alzati e va da lei.
Ho visto cose finire per la semplice paura di combattere, ma questo non è il tuo caso."
Le sue parole sono come un'iniezione di adrenalina nel mio corpo, perciò mi alzo di scatto diretto verso un'unica meta. Mi giro per un'ultima volta verso l'uomo porgendogli la mano di riconoscimento.
"Grazie..." Lascio in sospeso la frase in attesa del suo nome.
"Carlo."

Inizio a correre verso l'ospedale con il battito del cuore che pulsa impazzito nel mio petto. Attraverso l'ingresso dell'edificio rischiando di scontrarmi con diverse persone finché non raggiungo il reparto di terapia intensiva dove Leyla dovrebbe essere ricoverata. Il respiro è affannoso e la gola brucia per la corsa che ho appena fatto. Malgrado la fatica, continuo a correre per il reparto fino a quando non incontro un'infermiera a cui chiedere informazioni.
"Salve — prendo un respiro profondo prima di continuare — saprebbe dirmi dove si trova Leyla Emerson."
"Se non mi sbaglio, si trova nella camera 16 altr..."
"Grazie." La interrompo bruscamente prima di riprendere a correre per i corridoi stretti dell'ospedale.
Camera 16, coincidenze?
"Camera 14, 15, 16!" Apro la porta di scatto ritrovandomi nella stanza bianca e fredda.
Due infermieri stanno sistemando il letto vuoto con un fare per niente rassicurante. Fisso le due figure che, notando la mia presenza, interrompono ciò che stanno facendo per poi guardarmi con uno sguardo dispiaciuto. Lo stesso che aveva mia madre quando mi ha detto di mio padre, di Jules e di Martin.
Un colpo al cuore. Non può essere successo di nuovo.
"Mi dispiace signore." Uno dei due infermieri rompe il silenzio.
"No. Non ancora." Sento le lacrime formarsi nei mie occhi fino a cadere sulle guance.
"Le sue condizioni erano troppo precarie. Non c'è stato niente da fare." Gli infermieri se ne vanno ed io me ne resto solo in questa camera anonima con il dolore che si dirama nel mio corpo come dell'acido.
Mi lascio cadere sulle ginocchia, abbandonandomi ad un pianto disperato che credevo non dover provare mai più.
Il mio incubo peggiore si è appena avverato ed è solo colpa mia. Se solo l'avessi ignorata, se solo non le avessi dichiarato il mio amore a questo punto non sarebbe andata a finire così.

Come primule nell'oceano // Charles LeClercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora