Capitolo 19

1.4K 101 4
                                        

Un leggero scalpiccìo mi desta dal mio scomodo sonno disturbato.

Mi ritiro leggermente indietro, verso le radici degli alberi e il corpo di Frank appoggiato ad esse. Le foglie sparse sul mio corpo allo per nascondermi da un'eventuale scoperta frusciano al mio spostamento.

I passi sembrano avvicinarsi.

Tiro una gomitata a Frank dietro di me. Non posso guardarlo direttamente in faccia, ma immagino stia sbattendo le ciglia;  lui mugola leggermente, ma lo zittisco velocemente, facendogli cenno di ascoltare. Quando capisce cosa voglio fargli notare, trattiene il fiato e così faccio anche io.

Non dobbiamo resistere molto, perchè circa un minuto dopo il rumore si affievolisce fino a sparire.

Tiro un sospiro di sollievo e mi scrollo le foglie di dosso, alzandomi e spazzando con le mani la parte inferiore della tuta per rimuovere anche i pezzettini più piccoli e i piccioli.

Guardo in alto e noto che il sole è ancora a est, proprio sopra le montagne; montagne che probabilmente non esistono, ma sono solo una stupida proiezione per nascondere i confini dell'arena.

E il Sole? È reale?

«Prendi» la voce di Frank mi riporta con i piedi - e lo sguardo- per terra. Mi allunga un panino piuttosto striminzito imbottito con due fettine di salame. Non mi ero accorta di avere fame, ma alla vista di questo coso mi è passata. Non sono ancora così affamata da mangiarmi una ghiandaia,  quindi posso decisamente astenermi.

«I-io passo. Meglio tenerlo per più tardi» seriamente, quella specie di cosa malapena commestibile non mi ispira proprio! E poi cercate di capirmi, vengo da una settimana di cibo paradisiaco tipico del mio distretto servito su piatti di porcellana e con guarnizioni quasi sovrannaturali, non posso mangiare un panino con del salamene di chissà che carne e marcio, grande quanto la zampa del gatto di Dereck!

Frank fa le spallucce, mentre la mia mente è ancora orientata sui ricordi di puffo, il gatto grigio del mio ragazzo. Questi si tramutano velocemente in riflessioni su quando questo saltava sul tavolo della sala da pranzo e quindi i miei pensieri si dirigono di nuovo verso il cibo, ma quello fatto in casa; non ci vuole molto prima che anche queste si trasformino in filmini mentali che raffigurano una gustosissima cena di famiglia passata con le persone che amo di più al mondo.

Ed ecco che il languorino ritorna, ma ormai è troppo tardi per richiedere il mangiare.

«Senti, propongo di andare a cercare armi o qualcosa che possa servire. Ieri con tutte quelle» deglutisco, cercando di sciogliere il groppo in gola «vittime, saranno rimaste delle armi in giro...».

Frank annuisce, pulendosi le briciole dalla bocca con la manica della tuta.

«Forza» incita. Si solleva e mi allunga una mano.

Mi carico lo zaino con la roba in spalla, ma Frank alza gli occhi al cielo e me lo prende.

«Da' qua, ragazzina», mi schernisce.

Gli faccio la linguaccia, in realtà sollevata dalla sua azione; la posizione di questa notte mi ha lasciato un leggero dolore nell'incavo della spalla ed è meglio che non ci prema troppo sopra.

* * *

Ci mettiamo più di tre ore per ritrovare la Cornucopia. Sono sicura di aver camminato di meno ieri, ma sono anche sicura di aver camminato in tondo le prime due ore.

Mi sento strana, come se avessi un grande buco al posto dello stomaco. Ho sopportato quella tortura chiamata fame solo in tempo di guerra e ho resistito per dei giorni, quindi non mi sembra il caso di fermare le nostre ricerche solo per soddisfare un mio bisogno,  tanto più se non è urgente come potrebbe essere.

«Eccoci, finalmente», sospira Frank asciugandosi la fronte sudata: c'è un gran caldo, l'afa è soffocante e lui non è proprio la persona più atletica del mondo.

Comincio a scrutare la piazzetta ancora nascosta nell'ombra.
Mi cade lo sguardo su un oggetto ricurvo caduto giusto a pochi metri dalla cornucopia; accanto ed esso ci sono delle bacchette: suppongo che siano frecce, ma da questa distanza non riesco a scorgere le punte metalliche.

Faccio cenno a Frank di coprirmi le spalle mentre mi inoltro nel centro scoperto dell'arena.

Afferro gli oggetti con una mano e l'altra la uso per darmi lo slancio durante la corsa, ma faccio l'enorme errore di immobilizzarmi quando sento un rumore di passi.

A giudicare dal ritmo, sono le stesse persone di questa mattina e i stanno avvicinando, non allontanando.

Ricomincio a correre per raggiungere Frank, ma lo vedo scattare in avanti e prima che possa capire le sue intenzioni, vengo scaraventata a terra.

Il primo istinto, è di colpire l'aggressore con l'arco, ma l'arma è troppo grande e pesante, mi è d'intralcio.

Lancio via l'oggettp e sferro un pugno contro la mascella dell'avversario. Mentre questo si porta la mano alla zona colpita, lo identifico. È il tributo del distretto 2.

Gli sferro subito un altro colpo sullo zigomo, avendo le gambe bloccate dalle sue.
Non riesco a liberarmi, tantomeno a rivoltare la situazione.
Lancio uno sguardo di aiuto a Frank, ma lo scopro intento a occuparsi della compagna del ragazzo.

Continuiamo a rotolarci nella terra sferrando pugni e graffi sulla pelle ormai martoriata. Sento le nocche bruciare, le unghie spezzarsi, ma non posso farci niente.

L'adrenalina ha preso il possesso di me: non potrei scappare neanche volendo.

Tutto a un tratto, il mondo sembra rallentare. Una fitta mi prende lo stomaco e mi alleggerisce la testa fino a farmi perdere il contatto con la realtà.

La forza mi abbandona e qualcosa mi colpisce, forte. Ma non lo sento più. La mia mente disegna un'ultima immagine, un ultimo pensiero dai capelli rossi, poi il buio.

Dereck's POV

Ha smesso di combattere.

Le braccia sono rimaste abbandonate sulla terra fredda, mentre il ragazzo continua a colpirla senza pietà.

Ma lei è viva e sta sorridendo. La sento vicina. Adesso, con gli occhi inondati di lacrime e appiccicati allo schermo , la sento vicina.

So che quel sorriso è per me, lo sento dannazione.

Lei non ci crede, non ci crede più. Ma io sì.

Io credo in Dio.

"Ti prego, se esisti SALVALA" imploro , mentre il corpo della mia ragazza si immobilizza completamente. E qualcosa in me si spezza.
Stringo tra le mani la perla che mi ha regalato prima di partire: io lo so che lei è ancora con me,  lo so. Non può essersene andata.

I primi Hunger GamesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora