Capitolo 13

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Mi butto sul letto, sfinita.

Vorrei morire adesso ed evitarmi di sprecare tempo con gli Hunger Games, che finiranno inevitabilmente male.

Cioè, se non ce la fanno il distretto 1 e 2, a spaccarmi il culo ci penseranno Rebeccah e i suoi occhi azzurro ghiaccio.

Ma è come nelle interrogazioni a scuola: meglio tentare e avere un 6 o un 5½ che dire "non sono preparato" e tornarsene a casa con un 4 d'ufficio. Credo.

Vorrei che fosse tutto più semplice. O più giusto. È tutto ingiusto. La guerra è scoppiata a causa degli adulti ribelli, che con le loro idee hanno voluto farsi vedere più forti, causando solo la distruzione di Panem, e chi paga per i loro errori? Noi ragazzi, ovviamente.
Afferro un cuscino e lo sbatto dall'altra parte della stanza, facendo anche cadere qualcosa, prendo l'altro e lo stritolo in un abbraccio letale, premendomelo sulla faccia per evitare di urlare.

Quando il respiro rallenta con il cuore, mi rintano sotto le calde coperte, aspettando solo che Morfeo venga a prendermi....

* * *

Oggi è il primo giorno d'addestramento.

Mi sento svenire.

«Allora...con che cominciamo?» chiede Frank osservando il programma d'allenamento.

«Io... ehm...propongo di cominciare dal riconoscimento delle piante.»

«Okay, ha senso».

È molto teso, come me, si vede. Non ha il solito sorriso brillante o il cipiglio fastidioso, ma un'espressione nervosa tendente all'isterica e questo non mi piace per niente... Ma non posso biasimarlo, io devo sembrare fottutamente identica.

Ci dirigiamo con passi rigidi come bastoni verso la parte del padiglione dedicata all'insegnamento.

Un uomo parla delle erbe e delle bacche che si possono trovare, invece i ragazzi ascoltano, seduti a terra con un'enciclopedia aperta sulle gambe incrociate.

Cerco di prestare attenzione e di non addormentarmi, ma non sono mai stata una grande ascoltatrice; preferisco leggere per conto mio e così faccio. Frank invece è così concentrato e sta fissando il professore con tale intensità che penso che gli possano sgusciare i bulbi oculari dalle orbite da un momento all'altro.

L'insegante ci saluta e ci dice di passare allo stadio successivo.

Mi alzo facendo leva sulle ginocchia e porgo una mano a Frank per invitarlo a fare lo stesso.

«Ora puoi rilassarti!». Osservo la sua espressione ancora immutata.

«Credo di avere una paralisi facciale» si lamenta, riuscendo solo a muovere poco le labbra schiuse. Rido mentre si prende a schiaffi per rilassare i muscoli contratti del viso.

«Prossimo?» chiedo.

Possiamo evitare le lezioni di pesca, visto che proveniamo dal distretto addetto ad essa, ma sarebbe meglio imparare a maneggiare l'arco per cacciare. Espongo la mia idea al mio compagno, quindi passiamo a quello stadio.

Subito una chioma scura e lucida attira la mia attenzione.

Gli occhi di ghiaccio si spostano veloci da un bersaglio all'altro, suggerendo la mira al corpo che non sbaglia un colpo: è davvero formidabile.

Finita la sessione, Rebeccah esce dalla sala. Scuote i lunghi capelli e ci viene incontro sorridendo, un sorriso vero, non maligno.

«Wow! Sei strepitosa!» si complimenta Frank, riflettendo i miei pensieri di un secondo prima.

«Oh, grazie!», ha un'espressione di sincera riconoscenza in volto.

«Figurati. È dalla tua intervista che ho capito che ti meriti il mio rispetto -intervego prima seria, poi con un sorrisino divertito - Tullio si stava cagando addosso».

Ride. Ha una risata molto musicale e la voce è altrettanto bella; deve saper cantare davvero bene.

«Certo....ora se non vi dispiace, dovrei passare al prossimo allenamento».

«Okay, ma se hai intenzione di andare dove ti insegnano a riconoscere bacche e piante, sappi che ci siamo appena stati... ti conviene leggere l'enciclopedia per conto tuo o rischierai di finire come lui» indico Frank con il pollice.

«Avevo una paralisi facciale da troppa attenzione» ridacchia. Sembra leggermente nervoso, ma credo sia perchè la bellezza di Rebeccah è disarmante, e il suo carattere mette piuttosto in soggezione.

«D'accordo...ci vediamo in giro, credo», piega la testa di lato e ci congeda.

Osservo la sua figura slanciata attraversare il corridoio con passo sicuro. Quando mi giro, Frank è sparito. Poco dopo lo vedo attraverso il vetro della sala che si sta guardando in giro.

Entro anche io; gli porgo un arco e una faretra, che io ho già sulle spalle, quindi vado verso i comandi e attivo la simulazione.

Subito sono molto confusa, mi ci vuole un po' per capire come funziona.

Il mio amico, da bravo maldestro, è ancora più incapace di me.
Dopo quella che mi sembra mezz'ora, comincio a prendere padronanza del movimenti, tuttavia la mia mira continua a scarseggiare; Frank, invece, ci mette di più a imparare, ma, appena capisce il meccanismo, centra quasi tutti i bersagli. Ne manca ancora parecchi, ma non come me.

Usciamo anche di lì e decidiamo di andare a fare un ultima sessione prima di tornare in hotel.

«Mmmm....fare nodi?», propongo.
Lo so, lo so, dovrei esserne capace, essendo figlia di un marinaio, ma non lo sono: le donne difficilmente vengono chiamate a lavorare sui pescherecci, quindi quasi mai acquisiscono la nozione. Mio padre ha sempre preferito allenarmi nell'autodifesa: abitiamo pur sempre nei pressi di un porto e si sa che non è il luogo più sicuro del distretto, infatti ospita un sacco di forestieri e gli scaricatori sono spezzo uonini rozzi grandi e grossi e non si sa mai che un giorno non li si possa trovare ubriachi.

Credevo che fare i nodi sia un'attività abbastanza leggera, inoltre potrebbe servire per creare delle trappole o dei ripari...Mi sbagliavo. Dopo neache dieci minuti lì dentro, ho voglia di spararmi. Tanta voglia.

Mi si stanno incrociando gli occhi e ho le dita tutte graffiate.

Frank invece è tranquillo, come se stesse facendo uno scooby doo e i suoi nodi sono molto resistenti.

Al diavolo, questa attività non fa per me!

Quando finiamo, mi sembra di non vedere più niente. Frank ridacchia e mi sorregge per un braccio fino alla porta del padiglione, da dove proseguo da sola fino alla limousine che ci porterà a casa.

Spossata, mi appoggio contro i sedili e chiudo gli occhi, pensando per la prima volta a come sarà la vita nell'arena.

I primi Hunger GamesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora