Capitolo 18

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DONG

Ecco il segnale.

Le persone intorno a me scattano, puntando gli oggetti ai piedi della cornucopia.

Io resto ferma immobile, cercando con lo sguardo Frank.

Ovviamente lui non ha capito niente dei consigli che ci sono statin dati, quindi si è buttato senza alcun riguardo nella mischia.

Sta raccogliendo uno strano zaino, ricoperto da una specie cappuccio impermeabile e leggermente squadrato sul davanti, bianco.

Non voglio dare nell'occhio, per cui mi avvicino strisciando sui gomiti. Allungo una mano e afferro una pietra di quelle che circondano la statua, con l'intento di utilizzarla come arma di difesa in caso di necessità.

Eccolo lì: riconosco la crestina castana spuntare a meno di mezzo metro da me, ma più in alto. Alle sue spalle , interposto tra noi due, un ragazzo, che probabilmente stava mirando allo zainetto, tiene il pugnale alzato e sta per colpirlo.

La mia mente si spegne e l'impulso prevale sulla ragione.

Mi sollevo dalla mia posizione, scattando in avanti, e pianto un calcio nella piega del ginocchio del tizio, che lancia un urlo sorpreso e cade all'indietro.

Il coltello gli sfugge di mano e atterra a pochi centimetri da me, abbastanza vicino da tagliarmi una piccola ciocca di capelli.

Inspiro seccamente l'aria tra i denti e afferro il polso di Frank.

Lui si gira con un'espressione spaventata, che si trasforma subito in una di sollievo quando nota che sono solo io. Non me ne sono resa conto, ma già parecchi colpi di cannone sono stati sparati sulle nostre teste. Il ragazzo che avevo colpito si sta rialzando. Incoraggio il mio compagno a riprendere il cammino e a spostarci nell'estremità della piazzola più scura, all'ombra degli alberi.

Strisciamo insieme in mezzo ai cadaveri, cercando di ignorare i tributi ancora intenti ad ammazzarsi.

Qualcuno, come noi, sta scappando.

Intravedo delle figure spostarsi sui rami degli arbusti, scatenando un rumoroso concerto di fruscii di foglie. Devio di poco la rotta, in modo da non incrociare nessuno nell'immediato, così da riuscire a procurarci un rifugio più o meno senza intoppi.

Finalmente possiamo alzarci, protetti dalla tetra oscurità del bosco.

«Tutto a posto?» mi assicuro, mentre controllo di essere io stessa tutta intera. È stato un inizio piuttosto brusco; c'è da sorprendersi che nessuno sia partito prima del "via", saltando in aria.

«Sì, tu?» ricambia, la voce leggermente spezzata dal fiatone.

«Sto bene - annuisco - lo dicevo per te, che hai rischiato di farti ammazzare i primi due minuti».

«Eh?» un cipiglio si fa spazio sul suo viso. Possibile che non si sia accorto di quello che accadeva alle sue spalle?

Gli racconto l'accaduto, osservando la sua pelle sbiancare a ogni parola.

«Grazie» sussurra quando ho finito di parlare.

«Di niente». Mi guardo un po' intorno. È da almeno un'ora che camminiamo, non so dove siamo finiti. Cerco di distinguere qualcosa di più nel buio che ci circonda, con scarsi risultati.

«Conosci un modo per far luce?» domando, tastando il terreno per ottenere qualche informazione.

«Potremmo accendere un fuoco» propone ingenuamente.

«Sì, perchè non mettere direttamente un cartello con scritto "SIAMO QUI, VENITE A PRENDERCI!"» esclamo ironicamente, alzando gli occhi al cielo. Ma ha ascoltato almeno qualcosa di quello che Spake ci ha detto?

«okay, okay, hai ragione, fai finta che non l'abbia mai proposto». Alza le mani in segno di innocenza e ricomincia a camminare, passando i palmi sulle cortecce degli alberi per capire la direzione.

«Senti, che ne dici se per 'sta notte ci fermiamo qui?», propone dopo un altro interminabile e indefinibile momento di ricerca.

«Buona idea» ammetto, sfinita.

Mi appollaio ai piedi di un albero e cerco un modo per nasconderci almeno un po' alla vista di un eventuale passante.

Frank si muove per venire vicino a me.«Okay, vediamo se c'è qualcosa di utile qui dentro»

«D'accordo» acconsento, lasciando cadere la testa all'indietro.

Il primo oggetto è una cosa piccola e cilindrica, sembra un botticino; la seconda è una coperta, in cui sono avvolti altri oggetti. Si distingue solo la forma, per cui sarebbe inutile provare a identificarli adesso.

In fondo alla sacca, c'è una corda e del cibo, più una borraccia d'acqua.

Sfioro qualcosa di freddo infilato in una taschina laterale. A giudicare dal manico, deve essere un coltellino svizzero.

«Oltre a questo abbiamo un pugnale e una pietra, più i vestiti che stiamo indossando. Nient'altro. Cercando di crearci un rifugio adesso, combineremmo solo disastri - ragiono a voce alta - propongo di procedere domattina, quando sarà possibile vedere qualcosa». È strano per me sentire la mia voce convinta e sicura, di solito sono un coniglio.

Mi volto verso Frank, che sta pensando a non so cosa mentre fissa il cielo.

Non ci sono le stelle, solo una luna cupa e sfumata, nascosta dalle nuvole.

Non si capisce da dove, ma l'inno di Panem comincia a suonare, inondando tutta l'arena e raggiungendo ogni angolo possibile.

Il sigillo dello stato comincia a ruotare in cielo.

I volti dei caduti cominciano ad apparire uno ad uno sotto la coltre di nubi.

Sono sette, nessun viso famigliare. Riesco a riconoscere soltanto il tributo maschio del distretto 5 prima che scompaia.

Sette vite sono già state strappate a questo mondo. Erano ragazzi giovani, quasi bambini, figli che i genitori, fermi a casa forse su un divano a guardare questa carneficina, ora sanno che non potranno mai più abbracciare, non potranno più passarci del tempo, non potranno più insegnarli a vivere, non li vedranno crescere, mai sposati, avranno forse solo la consolazione di poter dare un ultimo bacio alla salma.

E Mi chiedo che fine facciano i corpi.

Mi chiedo che fine facciano le anime.

Mi chiedo che fine faremo noi.

Spazio Me:
Scusate se è corto ed è passato un po' troppo tempo, ma la scuola mi ha tenuta occupata! E ho avuto un blocco dello scrittore.
Grazie a tutti quelli che seguono ancora la storia, un bacio!

I primi Hunger GamesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora