Barcellona,
13 ottobre 1808.Dopo quell'incontro così strano col padrone, decisi di evitarlo il più possibile. Ma ben presto mi resi conto che lui non era del mio stesso pensiero. Iniziai ad incontrarlo ovunque, in giardino e persino in cucina. Avevo paura di svegliarmi nel cuore della notte e trovarlo ai piedi del mio letto.
Ma forse un po' anche mi piaceva quella situazione bizzarra. Il pensiero di nascondermi da lui era pura distrazione, e mi aiutava a non pensare alle faccende quotidiane.
Ma la botta decisiva arrivò un mese dopo il nostro primo vero incontro.
Mi rivolse la parola per la prima volta, e il suo timbro di voce era balsamo per i miei nervi, soprattutto la strana pronuncia del mio nome.<<Vai a pulire il mio studio, Geneviève.>> mi disse, poi se ne andò.
Io non ero mai entrata lì dentro, noi domestiche avevamo il divieto assoluto, però sapevo dove si trovasse. Bussai, non mi rispose nessuno ed entrai, chiudendomi la porta alle spalle.
Rimasi incantata da quella enorme sala: non era come il resto del palazzo; era tappezzata di quadri e tele dai mille volti che restituivano il mio sguardo ammaliato. Il soggetto principale erano le donne, alcune mezze nude, ma c'erano anche bambini e campi di grano. Infondo alla sala c'era un'enorme tela bianca, accanto ad essa la tavolozza dei colori imbrattata e incrostata.
Mi diedi da fare e iniziai a pulirla, poi passai al pavimento anch'esso sporco di cera e acrilici, poi passai alle finestre e diedi un'occhiata al panorama: pensai che se avessi avuto anche io una camera del genere presto o tardi avrei di certo imparato a disegnare. Sullo sfondo di un'esplosione di colori del tramonto, le case e i palazzi si estendevano oltre il confine. Un campanile e una cattedrale, poi il mercato dove mi dirigevo spesso si vedeva così piccolo che tutte quelle persone sembravano formiche.
Sussultai quando il padrone entrò nella sua sala privata, sorprendendomi ad ammirare il suo personale panorama. Non avevo il diritto di rubarglielo e lo sapevo bene.
Chinai la testa quando mi passò accanto e rivolse lo sguardo verso il tramonto.
<<Voglio che tu faccia una cosa per me, Geneviève.>> disse per poi guardarmi negli occhi.
Il mio cuore perse un battito. Cosa mai poteva volere da una domestica un uomo come lui? Iniziai a tremare ma forse lui se ne accorse perché il suo sguardo cambiò da duro e severo a comprensivo e premuroso.
<<Stai tranquilla, voglio solo che tu mi ritragga.>> affermò per poi passarmi una matita e un pennello e indicandomi la tela. <<Prenditi tutto il tempo che vuoi. Ore, giorni, mesi. Io aspetterò.>>
Detto questo, abbandonò la sua posizione per andarsi a sedere sulla finestra. Poi si levò la camicia con un movimento lento che mi fece tremare ancora di più.
Mi chiesi il motivo per cui volesse che io disegnassi per lui. Non avevo mai provato e dubitavo davvero di saper tenere una matita in mano. Il padrone sorrise debolmente e questo non fece che accrescere la mia tensione.
Mi avvicinai alla tela. Lo osservai per un attimo soffermandomi sui contorni del suo corpo e iniziai a tracciarli sull'universo di bianco. Almeno credevo si iniziasse così.
Il padrone era... semplicemente perfetto. Non trovavo una sola linea del suo corpo che non stesse al suo posto, ogni muscolo, capello o ciglia stava benissimo lì dove stava. Man mano che la mano si muoveva sulla tela mi rilassavo, ma il nodo allo stomaco si stringeva ogni volta che mi sporgevo per osservarlo.
<<Geneviève....>> mormorò dopo forse un'ora di totale silenzio, prendendosi qualche secondo per assaporare per bene quel nome. <<Un nome elegante per una domestica.>>
<<È il nome di mia nonna.>>
<<Curioso, queste sono le prime parole che sento dire dalla tua bocca. Sei una tipa silenziosa, o c'è qualcosa che non ti permette di parlare?>> insinuò alzando il mento.
Mi sporsi per osservarlo: teneva il mento in su e un sopracciglio scuro alzato. <<Non ho niente da dire, tutto qui. Mi hanno insegnato a tacere quando non ho una cosa intelligente da dire.>> risposi veloce.
Tutto in quell'uomo mi metteva in soggezione e lo odiavo per questo.
<<Bugiarda. Si vede un miglio che hai tante di quelle domande che non basterebbero le mura di questa sala per contenerle, Geneviève.>>
<<Come conoscete il mio nome?>> chiesi tutto d'un fiato, continuando a disegnare.
Lui sbuffò. <<Sono il padrone di casa, so tutto di tutti qui dentro.>>
<<Io però non conosco il vostro.>> tentai.
Alzò di nuovo il mento, fiero stavolta. <<Il mio nome è...>>
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Si, padrone?
Historical FictionStoria completa di revisione disponibile su Amazon in formato ebook e cartaceo. Qui presente l'intera storia ma senza la revisione e le parti aggiunte. . Spagna, 1800. Geneviève è una domestica della famiglia Castro, lavora nella loro tenuta da quan...