.22. Tradita.

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Barcellona, 
5 Dicembre 1808.

Il padrone prendeva il mio corpo ogni qual volta volesse. Qualche volta anche in piena notte. Entrava nelle mie stanze con gli occhi pieni di desiderio e io, come da patto, gli davo il mio corpo.

Non che mi dispiacesse più di tanto.

Alexander era capace di farmi provare sensazioni indescrivibili con il solo tocco di un dito nel punto giusto. Ed io mi scioglievo ogni volta e per qualche momento dimenticavo tutto il resto.

Ma quello, beh quello non avrei mai potuto più dimenticarlo.

Avevo ricordato perché i miei ricordi su Juan erano come cancellati.

<<Sei distratta.>> asserì il padrone.

Voltai il viso verso di lui. <<Qualche pensiero di troppo, padrone.>>

<<Mantieni questo sguardo, questi pensieri.>> disse e tornò a guardare la tela. <<È perfetto...>>

Parlottava tra se e se mentre disegnava sul foglio bianco.

Mi aveva convinta a posare ancora per lui, ma stavolta con solo un misero velo sul corpo. Un velo troppo trasparente per i miei gusti.

Ero adagiata sulla balconata della finestra; era Dicembre e faceva un freddo indescrivibile e la mia pelle nuda sulla schiena toccava il vetro gelido. Sentivo come una macchia di freddo irradiarsi sulla spina dorsale, ma cercavo di non farci caso.

La notte prima avevo ricordato.

Stavo sognando, ma ero più che certa che si trattassero di miei ricordi. Era troppo vero per essere solo frutto di mia immaginazione.

Stavo pulendo la sala da pranzo; avevo circa quattordici anni, toccava a me pulire la stanza più grande. Il signorino Juan aveva compagnia quel giorno, era impegnato a chiacchierare con una signorina altrettanto benestante. Cercavo di pulire senza pensare che in qualche modo mi sentivo tradita, essendo io la sua amica di giochi.

Andai nei bagni per prendere dell'acqua con cui avrei lavato a terra e, quando tornai nella sala da pranzo, sentii delle voci. Mi nascosi dietro ad una porta con il secchio stretto tra le braccia, sperando che non mi avessero sentita. Erano Juan e la sua amica, entrati lì per chissà quale motivo.

Ero curiosa di sentire di cosa parlassero, quindi rimasi nascosta con le orecchie tese all'ascolto. Ridevano, si divertivano. Cosa ci fosse da ridere, non ne avevo idea.

Cercando di non farmi vedere sbirciai dalla serratura: erano in piedi l'uno di fronte all'altra, a guardarsi. Lei aveva dei lunghi capelli neri lisci come la seta, un cappello rosso con una piuma arancione e un vestito dello stesso colore del cappello. Era molto carina, sembrava più grande di quel che in realtà era. Per quel che sapevo aveva la stessa età di Juan.

Lui aveva i capelli ricci sugli occhi come sempre, i vestiti perfetti per l'incontro.

<<Siete carina oggi...>> disse Juan abbassando lo sguardo.

Il mio cuore perse un battito.

<<Anche voi.>> rispose la ragazzina, senza un minimo accenno ad un po' di timidezza. Non era la prima volta che qualcuno glielo diceva, era chiaro.

Lei fece un passo in avanti. <<Sarebbe carino se un giorno noi due diventassimo una coppia, non credete?>>

Juan alzò lo sguardo e vidi le guance tingersi lievemente di rosso. <<Beh, sì... perché no...>>

Lei piegò la testa di lato, scrutando il suo viso. <<C'è forse già qualcuno nel vostro cuore, Juan Garçia?>>

Il mio cuore perse un altro battito e le mani mi iniziarono a sudare.
Sapevo che dovevo smettere di ascoltare, di guardare. Ma non ce la facevo.
Avevo una strana e martellante sensazione negativa nello stomaco. Come un brutto presentimento, ma ampliato per dieci.

Decisamente era un brutto presentimento.

Juan si scostò di un passo. <<Io, beh...>> sembrò pensarci su, secondi che mi parvero infiniti. <<No! Cosa dite. Proprio nessuna.>>

I momenti successivi li vidi attraverso una patina di lacrime e dolore.

La ragazzina si avvicinò di nuovo a lui e lo baciò sulle labbra. Lo abbracciò, gli legò le braccia dietro la testa e continuò a baciarlo. E lui rispose al suo bacio stringendola a sé.

Il sogno era finito con me che lasciavo cadere a terra il secchio di acqua, rovesciando tutto sul pavimento. Ero scappata via e avevo promesso che mai più lui mi avrebbe fatto così male.

E invece c'era riuscito di nuovo.

<<Stai ancora pensando a lui?>>

<<Non lo nego.>> sospirai.

<<Cerca di concentrarti su altro.>> propose Alexander.

Mi girai verso di lui. <<Non ho molto altro su cui concentrare forze e pensieri.>>

Sorrise come se gli fosse venuta in mente la soluzione a tutti i miei problemi. <<Invece sì.>>

Si allontanò dalla sua tela e si mise a frugare tra le altre tele abbandonate a terra in un angolo. Quando trovò quella che stava cercando, la prese e si alzò. La sostituì con la sua e mi invitò a raggiungerlo.

Mi alzai e mi coprii il corpo il più possibile con quel velo. Lo affiancai e vidi la tela: era il mio disegno. Quello che gli feci la prima volta che mi aveva notata. Era rimasto dimenticato in un angolo per tutto quel tempo, sostituito dai nostri incontri puramente fisici.

Sorrisi: avevo trovato come distrarre i pensieri. 

Si, padrone?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora