Barcellona,
19 Marzo 1809.Mi arrestai e trattenni il respiro.
Vidi Jonathan – che credevo ancora privo di sensi – alzarsi appena per afferrare le gambe di Alexander e farlo cadere a terra. Nell'impatto, un colpo partì dal fucile e mi tappai le orecchie con le mani. In quello spazio così piccolo, quel boato già di per se molto rumoroso apparve triplicato.
Juan mi prese per le spalle, spaventato dalla mia reazione. <<Stai bene? Sei ferita?>>
Scossi la testa e mi sforzai di aprire gli occhi. <<Non sopporto i rumori forti.>> confessai. Non era di certo il momento per perdere tempo a parlare delle mie fobie.
La candela ad olio era caduta e il liquido al suo interno era schizzato ovunque, rendendo di nuovo quasi del tutto buio l'ambiente. Jonathan reggeva Alexander a terra con la gamba sana sul petto, ma il padrone era più forte e il capo aveva perso troppo sangue. Alexander si alzò quasi subito e si liberò dalla presa dell'uomo, poi sorrise malato. Non ebbi nemmeno il tempo di chiedermi cosa avesse intenzione di fare, che allungò una mano e strinse il ginocchio ferito di Jonathan fino a farlo urlare di dolore.
<<Basta!>> urlai, ma Juan mi trattenne. Aveva ancora il fucile nell'altra mano e avrebbe potuto usarlo rapidamente e in qualunque momento.
Dopo qualche secondo di strazianti urla, finalmente lasciò il ginocchio e Jonathan tornò a respirare.
Seduto in terra e con il fucile nella nostra direzione, Alexander si prese tutto il tempo per pettinarsi i capelli scomposti con le dita e lisciare le pieghe sulla camicia, poi guardò di nuovo il capo.
<<Scommetto che ancora non ti ha detto la verità sulle tue origini.>> disse.
<<Ha promesso di farlo.>> risposi.
Non pensai a come lui potesse sapere cosa mi voleva confessare il capo; niente di quell'uomo mi avrebbe più potuto sorprendere.
<<Avrebbe dovuto dirtelo prima di venire qui. Avrebbe dovuto sapere che non c'era la possibilità di uscire vivi dalla mia villa.>>
<<Siete un mostro.>> disse Juan al posto mio, poi mi prese di nuovo la mano.
Era sudata ma al contempo fredda. Fui grata di quel gesto; sapevo che la rivelazione di ciò che avevo fatto lo aveva ferito, ma in quel momento non importava.
<<Sono un'artista, io.>> disse tranquillo e pieno di sé. <<Io vedo il mondo con occhi diversi. Il mondo vede me con occhi brillanti e sognatori. Io sono diverso e lui lo sa.>>
Pazzo, continuava ad urlare una vocina dentro di me.
Jonathan tossì rumorosamente e si sforzò di tenere a bada il dolore. <<Non credere a niente di ciò che ti dirà, per favore.>> supplicò guardandomi.
Alexander rise così tanto da trasformare quella sua normale risata in un ghigno malefico che sicuramente mi avrebbe accompagnato per il resto della mia vita.
<<Ti ho mai detto una bugia, mia Geneviève? Sono sempre stata molto chiaro e sincero con te.>>
<<Non ha importanza, non vi crederò lo stesso.>>
<<Sai di essere nata in Francia, vero?>> parlò lo stesso lui, nonostante il mio rifiuto nel volerlo ascoltare. Annuii, non capendo le sue intenzioni. <<Sai che questo signore qui viene dal tuo stesso paese di origine?>>
Fui colpita, ma non dissi niente. Il freddo dei sotterranei d'improvviso cessò di attraversarmi il vestito, rendendomi accaldata e impaziente. Volevo sapere cosa avesse da dirmi, ma allo stesso tempo non sapevo se fosse la verità. E Jonathan in quel momento non era del tutto lucido; apriva e chiudeva gli occhi viaggiando nel nostro mondo e in quello dei sogni. Guardai Juan alla ricerca di un appoggio, e in risposta lui mi strinse di nuovo la mano.
Alexander posò la canna del fucile sul petto del capo, ma non era pronto per sparare, piuttosto come per riposare un attimo dal peso di quella pericolosa arma.
<<Precisamente, mia Geneviève, da che parte della Francia vieni?>> chiese.
Ci pensai un po' su. Io e mia nonna scappammo da lì subito dopo la morte di mia madre, uccisa da un'epidemia scoppiata in quel paese. Qualcuno ci aveva detto che in Spagna non c'erano malattie contagiose, così avevamo deciso di abbandonare tutto e trasferirci nella casa vecchia dei genitori ormai deceduti di mio padre. I dettagli della mia infanzia spesso mi apparivano sfocati e mi dovevo concentrare per ricordare il volto di mia madre, però alcune cose le ricordavo: il suo profumo, il profondo amore che ci legava, il cavallo di legno intagliato da mio padre. Tra queste cose, anche il nome del paese.
<<Lione.>> affermai decisa.
Alexander alzò il viso e aspettò una mia reazione. Ma io non capivo cosa volesse dirmi con quella semplice domanda.
<<Geneviève... non lo ascoltare...>> sussurrò il capo con un filo di voce.
Il padrone picchiettò lentamente sulla canna, producendo un rumore che somigliava ad un orologio. <<Curioso, eh Jonathan? Tu e la mia Geneviève siete nati nello stesso paese.>>
Alexander mi guardò di nuovo, in attesa. Ed io continuavo a non capire. Fu Juan a tirarmi leggermente la mano, attirando la mia attenzione.
<<Cosa hai detto che è successo a tuo padre?>> mi chiese con una strana espressione.
Sara si intromise. <<Padre, non credo che voi dobbiate parlare di queste cose adesso.>>
La ragazza era ancora legata e a terra, un po' sofferente per tutta la situazione, e incapace di fare qualcosa. Guardava suo padre con occhi speranzosi, chiedendo silenziosamente qualcosa.
<<Figlia mia, è ora che lei conosca la verità. Non ti intromettere.>> rispose Alexander scoccando alla figlia un'occhiata severa.
Sara si ammutolì.
Guardai nuovamente Juan, il quale continuava a guardarmi con quella strana espressione ed io pensai a ciò che sapevo su mio padre. Mia madre non voleva mai parlare di lui, diceva che era doloroso ricordarlo. Approfittavo dei momenti buoni e le chiedevo preziose risposte che mi aiutavano a creare un'immagine di quel misterioso uomo. Tutto ciò che sapevo, quindi, era che era dovuto partire per un lungo viaggio e che era morto a seguito di uno scontro. Sapevo che gli somigliavo in certi tratti del mio carattere, ma nel viso non vi era traccia di somiglianza con lui.
<<Io...>> iniziai balbettando e guardando in basso. <<Non ne sono sicura. Mia madre non me ne parlava mai.>> ammisi.
Juan spostò lo sguardo su Jonathan, spingendo me a fare lo stesso. Alexander aveva ancora quell'espressione strana, in attesa che io capissi. Ma fu solo quando il capo aprì gli occhi e mi guardò con quello stesso sguardo con cui mi aveva guardata la prima volta nel suo bordello, che capii.
Quelli non erano occhi estranei. Non erano occhi di chi aveva incontrato di nuovo una persona dal passato.
<<No...>>
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Si, padrone?
Historical FictionStoria completa di revisione disponibile su Amazon in formato ebook e cartaceo. Qui presente l'intera storia ma senza la revisione e le parti aggiunte. . Spagna, 1800. Geneviève è una domestica della famiglia Castro, lavora nella loro tenuta da quan...