.20. Giovani, belle e inesperte.

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Barcellona, 
10 Novembre 1808.

Accompagnai Juan dai suoi genitori, tenendomi a debita distanza, già pronta a sparire dietro ad una qualunque porta che mi permettesse di non assistere a ciò che stava per succedere.

Appesi la giacca del padrone sull'appendiabiti e con essa anche quella di Juan. Prima di entrare nel salone dove si stava tenendo quella piccola riunione, mi diede un bacio veloce.

Era solo l'ultimo di una lunga serie.

Mi accarezzò una guancia e posò la fronte sulla mia, in modo da guardarci negli occhi. <<Purtroppo devo affrontarli.>> sussurrò. <<Prometto che risolverò la situazione.>>

<<In che modo?>>

Lui chiuse per un attimo gli occhi e prese un lungo respiro. <<Non lo so, ma in qualche modo faremo, te lo prometto.>>

Mi baciò la fronte e, quando si allontanò, sfiorai con le dita il segno delle labbra che aveva lasciato su di me. Il tocco del ghiaccio sul fuoco più pericoloso.

Lo vidi sospirare ancora, mi guardò per l'ultima volta, poi aprì le porte del salone.

<<Juan, finalmente, dove eri finito?>>

<<Mi ero perso nell'immenso giardino della tenuta, padre.>>

Io non ero con loro, potevo solo sentire la conversazione, in attesa di sgattaiolare via. Ma per farlo dovevo necessariamente passare davanti alle porte aperte del salone, e questo mi intimoriva molto. Temevo che nei miei occhi si leggesse ciò che avevo fatto. Temevo che il padrone se ne accorgesse. E temevo le conseguenze di quel gesto dettato dall'impulso e dalla follia.

Li sentii parlare di altre cose e pensai che finalmente mi sarei potuta rilassare e quindi passare inosservata davanti alla porta, così presi coraggio e camminai il più veloce possibile ma senza rischiare di attirare l'attenzione.

Uno, due, tre passi e...

<<Geneviève!>>

Mi tremarono le gambe e credetti che mi sarei liquefatta a terra.

Girai il capo in direzione del salone e trovai tutti i presenti a guardarmi. Le guance mi si tinsero di rosso per l'imbarazzo.

<<Portaci del thè.>> disse Lorein Castro, seduta comodamente su una poltrona del colore dell'oro, stessa tonalità dei suoi capelli raccolti sulla testa.

Con una rapida occhiata vidi tutti: Juan, che mi guardava cercando di apparire impassibile. Le gemelle Gwendoline e Gabrielle; Sara, che guardava fuori dalla finestra persa in chissà quali pensieri. Lorein e il padrone con lo sguardo alto e superiore. I signori Garçia seduti su un altro divano screziato di oro.

Chinai il capo e andai in cucina a prendere ciò che mi era stato chiesto.

Quando tornai nel salone posai sul tavolino la teiera e, pian piano, riempii le numerose tazzine per poi porgerle per prima agli ospiti.

La offrii alla signora Rosina, che mi guardò a fondo prima di prenderla. <<Mi ricordo di te.>>

Non sapevo cosa rispondere, così mi limitai a sorridere educatamente e a continuare il giro.

<<Sei arrivata nella mia tenuta quando avevi undici anni, giusto?>> mi chiese mentre porgevo una tazzina a suo marito, che mi guardò attentamente prima di prenderla.

Voltai lo sguardo nella sua direzione e annuii. <<Sì, mia signora.>>

<<E per quale motivo ti trovi qui adesso? Non ricordo molto bene.>>

Si, padrone?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora