.56. Coltre di nebbia e fumo.

225 19 0
                                    

Barcellona,
19 Marzo 1809.

Con tutta la forza che ancora possedevo, sollevai Jonathan nonostante fosse contrario.

Nel frattempo Alexander si era pericolosamente avvicinato. Aveva gli occhi iniettati di rosso, e ricordo che in quel momento pensai che il vero fuoco non era quello che danzava intorno a noi, bensì era quello che aveva lui negli occhi. L'ardente desiderio di provocare dolore per puro divertimento. La brama di possedere ogni cosa. La bellezza di un angelo caduto nei suoi stessi sotterfugi diabolici.

<<Mia Geneviève...!>> mormorò con voce incrinata, alzando un braccio nella mia direzione. <<Non puoi... così...>>

Alle sue spalle, il fuoco stava pian piano divorando il tavolino di legno dove avevo trovato l'acciarino e la candela, e immaginai che il fumo fosse ormai arrivato a Lorein e che sarebbe morta nel giro di pochi istanti senza alcuna fonte di aria pulita.

<<Zitto!>> urlai senza nemmeno guardarlo.

Non ne potevo più. Di lui, delle sue maniere, di quei maledetti sotterranei.

Jonathan si alzò e si aggrappò a me, ed io tentai di avanzare verso l'uscita. Continuavo a non vedere bene, però distinguevo le forme delle scale a pochi metri da noi. Se fossimo stati in grado di correre avremmo raggiunto l'uscita in un batter d'occhio, ma eravamo entrambi stremati e feriti gravemente.

<<Juan!>> chiamai, senza però voltarmi.

Il fischio quella volta non mi permise di udire alcuna risposta, e sperai che lui ci stesse seguendo poco dietro. Sperai che avesse trovato il modo di liberare Sara, ma sapevo che fosse molto difficile.

Raggiungemmo le scale e invogliai Jonathan a salirle, anche se non riusciva a muovere molto la gamba ferita. <<Ti prego, un ultimo sforzo!>> lo pregai.

Lui mi guardò a fondo, senza dire una parola. Aveva il viso coperto di sangue, lacrime e dolore. Però mi guardava come se niente avesse importanza, solo l'uscire vivi insieme da lì.

Vai, capii leggendo le sue labbra. Devo aiutare Juan.

Scossi la testa così forte che prese a girarmi pericolosamente, e mi trattenni saldamente alla ringhiera per non cadere. <<Ci penso io.>>

<<No!>> mi fermò lui, mettendo il braccio sano sulla mia mano. <<Ferita... tu... non...>>

<<Tu lo sei di più!>> risposi.

Avevo capito il suo discorso. Non voleva farmi tornare lì perché ero ferita, ma lui lo era decisamente di più e non poteva camminare, mentre io sì. Ero abbastanza certa che le mie gambe fossero intatte, erano le braccia e il petto a fare malissimo. E il collo, oltre all'orecchio che fischiava come una locomotiva impazzita. Per quello che ne sapevo io, di locomotive. Non ne avevo mai vista una, però mi avevano detto che facevano un gran baccano.

Mi voltai ignorando lo sguardo preoccupato di Jonathan e vidi le fiamme ormai vicinissime ad Alexander, accasciato quasi del tutto inerme lungo il pavimento. Il fumo aveva inondato la parte restante dei sotterranei, facendoci tossire e non permettendoci di vedere bene.

Con la vista quasi del tutto fuori uso per via del fumo, avanzai lentamente con le mani in avanti alla ricerca di Juan. Le sue mani trovarono le mie quasi subito, e fui sollevata.

Uscendo dalla coltre di fumo notai con piacere che era riuscito a liberare Sara, e che la teneva tra le braccia come aveva fatto con me poco prima. Lei era priva di sensi, la testa rovesciata all'indietro e un braccio penzoloni.

<<Via!>> urlò Juan, e non me lo feci ripetere due volte.

Aiutai Jonathan a salire le scale, e lui tratteneva le urla ad ogni gradino. Alle mie spalle, Juan reggeva saldamente Sara e non vedevamo tutti l'ora di uscire da quell'inferno.

Ma poi Alexander sbucò fuori la coltre di fumo e salì le scale velocemente, raggiungendo Juan e trascinandolo di nuovo nella nebbia nera.

Si, padrone?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora