.6. Juan Garçia.

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Barcellona,
20 Gennaio 1803.

Quel giorno fecero preparare me e altre tre donne.

Mi aiutarono a vestirmi: un corpetto bianco stretto con una gonna marrone chiaro. Niente di diverso dal solito, ma quel giorno la divisa era pulitissima. Non era mai stata così pulita. I capelli mi scendevano morbidi sulla schiena e mi avevano pizzicato le guance per farmi sembrare meno pallida.

Ci guidarono nella sala grande. Le altre donne sembravano un po' impaurite dalla situazione, ed io non capivo il motivo. Nessuno mi aveva detto niente.

Che cosa dovevamo fare? A chi ci stavano presentando? E soprattutto, perché proprio noi?

Guardai le altre tre donne: sospiravano, si pizzicavano le guance in continuazione e una non la smetteva di tremare.

Un uomo ci disse di metterci l'una accanto all'altra, e così facemmo. Io ero la più piccola e anche la più bassa.

Il maggiordomo guardò l'orologio a pendolo e contò sulle labbra <<tre due uno>> poi una porta si aprì e comparvero i miei padroni.

Rosina Garçia si fermò di fronte a noi e ci riservò una rapida occhiata, poi prese a parlare in disparte con suo marito. Il figlio, il signorino Juan Garçia, ci osservava seduto su un lussuoso divano. I capelli chiari e ricci sul viso e gli occhi un po' annoiati. Lo vidi sbuffare, poi mi guardò.

E io lo guardai a mia volta.

Non fu la prima volta che ci guardammo, ma quella volta lui mi aveva vista. Mi aveva vista davvero e lo capii dal rossore sulle guance. Probabilmente anche le mie si tinsero di rosso e mi aiutarono ad apparire meno pallida. Lui aveva circa diciassette anni, non era molto più grande di me eppure sembrava così maturo nei suoi abiti da signore. Gli sorrisi e i suoi occhi azzurri si illuminarono.

Ci vollero diversi minuti prima che smettessimo di osservarci a vicenda, perché fui costretta a guardare le persone che stavano entrando nella sala.

Una donna dai capelli biondi, un vestito arancione e un ombrellino bianco in una mano; dietro di lei, il suo maggiordomo la seguiva a sguardo alto. Una bambina di otto anni circa avanzava piano accanto alla signora, quasi inciampava nel lungo vestitino rosa.

Rosina e la signora si salutarono, poi lei si avvicinò a noi. Ci studiò per qualche momento, ci osservò per bene tutte da capo a piedi, passando per ogni centimetro dei nostri corpi.

Si posizionò di fronte a me e io abbassai lo sguardo così come avevano fatto le altre. Percepii i suoi occhi su di me, poi con la punta dell'ombrellino mi sollevò il mento costringendomi a guardarla.

Era davvero bella. I capelli color oro scendevano a boccoli da un cappello bianco ricamato, gli occhi marrone chiaro e le labbra carnose.

<<Quanti anni hai?>> mi chiese.

<<Quindici.>> risposi cercando di restare calma e non mostrare il mio tremore.

Avevo paura di lei e non sapevo neanche perché.

La signora sorrise e si rivolse a Rosina. <<Prenderò lei.>>

E io capii il motivo di tutto ciò.

I Garçia dovevano sbarazzarsi di una di noi e mi stavano vendendo come se fossi stata solo un oggetto.

Pedro Garçia increspò gli occhi. <<Non è troppo giovane, signora Castro?>>

La signora mi voltò le spalle e si avvicinò ai due coniugi. <<Possiedo le mie motivazioni.>>

Rosina le sorrise. <<Non lo mettiamo in dubbio.>>

In quel momento pensai che probabilmente le due famiglie non si sopportavano a vicenda ma non potevano dirselo.

Gli occhi mi caddero sul signorino Juan. Mi guardava ancora, ma il suo sguardo non era più brillante. Era triste.

Il maggiordomo mi prese per un braccio e mi condusse fuori dalla porta e sulla carrozza.

Non vidi mai più la tenuta dei Garçia, quella che era stata la mia casa per quattro anni. 

Si, padrone?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora