.16. Non merito calore.

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Barcellona, 
10 Novembre 1808.

Lavai via dal corpo il ricordo di quella giornata, poi mi vestii velocemente e supplicai Estrelle, il "capo" governante della tenuta, di darmi una mezz'ora per parlare con Juan Garçia.

Vari ricatti dopo e qualche promessa di lavorare il doppio del solito, riuscii ad uscire.

Lo raggiunsi nelle scuderie: era sempre lì che andava quando aveva bisogno di pensare. Lo vidi che accarezzava un bellissimo stallone dal manto color carbone. Gli stava così vicino che pensai che i due parlassero la stessa lingua e stessero comunicando in segreto.

Mi avvicinai lentamente, con lo sguardo sullo splendido esemplare purosangue.
Faceva freddo, era novembre e il tessuto del vestito da domestica non era abbastanza caldo per me, quindi cercavo di riscaldarmi con le braccia per quanto potevo. Lui invece era ben coperto: il cappotto nero fasciava il suo corpo fino alle ginocchia, la camicia bianca sotto di esso gli donava un tocco di eleganza. Tossii e lui si accorse di me; alzò lo sguardo e interruppe il discorso silenzioso che stava avendo con il cavallo. Una nuvola di condensa uscì dalla sua bocca quando parlò.

<<Nella mia tenuta non soffrivi il freddo. Noi ti abbiamo sempre dato degli indumenti adeguati, guarda qui come ti trattano.>>

Abbassai lo sguardo. Era vero, non avevo mai sofferto il freddo quando lavoravo per lui. Le domestiche venivano trattate molto meglio di come ci trattavano i Castro.

<<Perché siete qui, signore?>> chiesi e una nuvola di condensa uscì anche dalla mia bocca.

Sospirò. <<Affari, credo. Non lo so, io non volevo neanche venirci, sono stato obbligato da mio padre.>>

Lo stallone nitrì così forte che dovetti tapparmi le orecchie con le mani mentre Juan si affrettava a calmarlo. Quelle temperature non piacevano neanche a lui.

Le scuderie erano formate da dieci gabbie, occupate solo cinque con i rispettivi cavalli della famiglia e altre due per due cavalli anziani che mettevano a disposizione per gli ospiti. Mi sarebbe piaciuto un giorno imparare a cavalcarne uno.

Noi ci trovavamo al centro; Juan aveva aperto la gabbia del puro sangue della contessa. Se lo avesse saputo sarebbe andata in escandescenza.

Avrei voluto chiedergli il motivo per cui era stato obbligato, ma non ce ne fu il bisogno.

<<Dice che devo passare più tempo con loro. Da quando sono tornato non la smettono di ripeterlo.>>

<<Dove siete stato?>> chiesi. Ero molto curiosa.

Lui sorrise e guidò il cavallo nella sua stalla. <<In molti posti. Sono stato via per tre anni e sono tornato un mese fa. Ho in mente di ripartire tra qualche settimana. Barcellona mi sta stretta, ho bisogno di andare oltre.>>

Lo so, pensai. Ti ascoltavo sempre quando parlavi di viaggiare per il mondo e tuo padre ti zittiva con uno sguardo.

<<Forse gli sei mancato.>> sussurrai seguendolo nella gabbia. <<Credo sia normale.>>

Scosse la testa. <<No. Vogliono farmi sposare.>>

<<Oh...>> mi sfuggì dalle labbra.

Mi guardò e abbozzò un sorriso. <<Già... bel guaio, eh?>>

Uscì calpestando la paglia sporca sul terreno e mi chiesi che fine avesse fatto il ragazzo che odiava sporcarsi i vestiti e le mani. Quella versione del signor Garçia non la smetteva di sorprendermi.

Chiuse con il catenaccio la gabbia, poi mi si avvicinò. <<Hai una relazione con il signor Castro?>>

Non sapevo cosa rispondere. Pensavo di sì, pensavo che lui a me ci tenesse almeno un po', ma mi ero dovuta ricredere. Era un mostro. <<Non più.>>

Si passò una mano tra i capelli. <<Come hai potuto invaghirti di uno stronzo arrogante come lui? Credevo fossi diversa, Geneviève.>>

I suoi occhi erano duri così come le sue parole. <<Sono stata sedotta e ingannata.>>

Mi guardò a fondo increspando gli occhi. <<La Geneviève che conoscevo cinque anni fa non si sarebbe mai fatta ingannare.>>

Feci un passo indietro. <<E voi cosa ne sapete? Quando me ne sono andata non mi avevate mai rivolto una parola se non per ordinarmi di portarvi di mangiare, cosa ne sapete di com'ero cinque anni fa?>>

Restò sorpreso dalle mie parole. <<Ti conoscevo più di quel che credi.>>

<<Bugiardo.>>

Quella parola mi uscì dalla bocca ancor prima che la mia mente la pensasse. Portai una mano alle labbra, imbarazzata e terrorizzata dalle conseguenze che ciò che avevo detto avrebbe portato.

<<Oh Dio, scusate... non volevo... non dovevo...>>

Continuai ad arretrare, ma lui se ne stava immobile.

Sorrise. <<Ecco la Geneviève che conosco. Tu non ricordi niente di quando eri piccola, ma noi giocavamo spesso insieme quando i miei non erano in casa. Poi sei cresciuta, io sono cresciuto e abbiamo smesso di vederci, seppur stessimo nella stessa casa.>>

Non ricordavo niente di ciò che aveva detto, erano passati quasi dieci anni. Per un momento dubitai di quelle parole, ma poi vidi la sua espressione: era sincero.

Notai che la posizione del sole era cambiata, quindi era passato più tempo di quel che credevo.

<<Devo andare, signor Garçia.>>

Voltai le spalle e mi diressi fuori a grandi passi. Dopo qualche secondo mi affiancò e sentii che mi poggiava qualcosa sulle spalle. Abbassai lo sguardo e notai che si trattava della sua giacca. Lui era rimasto solo con la camicia e il vento freddo soffiava troppo forte per la pelle di un ragazzo nobile.

Me la tolsi dalle spalle e gliela porsi: <<Non la posso accettare, signore.>>

Lui prese le mie mani e avvicinò di nuovo la giacca verso di me. <<Serve molto più a te che a me.>>

<<Fa freddo, signore! Io sono solo una domestica, non merito di sentire calore e togliere esso a voi.>>

Alzò un sopracciglio. <<Non meriti di sentire calore? Sei un essere umano così come lo sono io, non vedo altre differenze.>> prese la giacca e me la riposò sulle spalle, spostandomi i capelli tutti da un lato. <<Non oso ascoltare altre proteste.>>

Sospirai. Questo suo lato non era affatto cambiato negli anni. Se qualcuno mi avesse vista in quel momento sarei stata nei guai fino al collo, ma nel frattempo finalmente sentivo il mio corpo riscaldarsi per la prima volta dopo tanto tempo. Lo ringraziai con un sorriso e ci dirigemmo verso l'entrata della tenuta.

<<Perché mi avete venduta?>> chiesi dopo un po'.

Quella domanda mi aveva tormentato per tanto tempo. E probabilmente mi tormentava ancora, inconsciamente.

Lui abbassò lo sguardo e i riccioli biondi gli finirono sul viso. <<Denaro. La mia famiglia è benestante, ma i Castro lo sono di più. Ne avevamo bisogno e abbiamo dovuto fare questa scelta.>>

Ero solo un oggetto da vendere e comprare.

Arrivammo di fronte al portone della tenuta, tolsi dalle spalle la giacca e gliela porsi. <<Non mi serve più.>>

La prese. <<Prego.>>

Trattenni un sorriso e aprii la porta, e ciò che mi ritrovai davanti mi tolse il respiro e mi fece tremare le mani.

<<Padrone...>>

Si, padrone?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora