.43. Come un cane.

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Barcellona, 
19 Marzo 1809.

<<La prego di fare attenzione, Jonathan.>> disse Alexander, con la mano poggiata sulla sua spalla. <<Sono travi vecchie e scivolose.>>

Il capo mi parve preoccupato dalle parole del padrone, ma tentò di ignorarlo. <<Va bene.>> disse solo, poi Alexander tolse la mano e lui poté fare finalmente quel passo sulla scala.

Cercai di calmarmi e guardai la scena dal buio pesto; ero abbastanza certa che loro non mi potessero più vedere, avvolta com'ero nel buio.

Lentamente, il capo iniziò la sua discesa, guardando attentamente dove posava i suoi piedi. Spostai lo sguardo su Alexander e trovai i suoi occhi puntati nei miei. Un'espressione fredda e calcolatrice, di chi sta' tramando qualcosa. Non feci in tempo a chiedermi come facesse a vedermi, che abbandonò i miei occhi per posarli su Jonathan: un gridolino mi uscì dalle labbra, ma era già troppo tardi.

Alzò una gamba e spinse Jonathan dalle scale.

Lo vidi cadere malamente su ogni scalino, mentre grida soffocate di dolore inondarono il perimetro. Io misi le mani alla bocca, incapace di fare altro e nel panico assoluto. Jonathan raggiunse presto la fine delle scale e subito mi accostai a lui per costatare che fosse ancora vivo. Gli toccai il viso e sentii subito del sangue tra le mani.

<<Bastardo!>> urlai al padrone, che per tutto il tempo aveva visto la scena dalla soglia della porta.

<<Ti sei schierata dalla parte sbagliata, mia Geneviève.>>

Avrei voluto urlare di rabbia e salire le scale per ucciderlo con le mie mani, ma lui chiuse la porta e girò la chiave lasciandoci nel buio assoluto. Non vedevo assolutamente niente, toccavo il viso di Jonathan e cercavo di capire se fosse ancora vivo.

<<Jonathan, vi prego, svegliatevi!>> supplicai.

Dopo qualche istante, parlò. <<Geneviève?>> sussurrò con un filo di voce. <<Quel bastardo...>>

<<Shh.>> gli sussurrai cercando di trattenere le lacrime e reggendogli la testa. <<Come state? Dove avete dolore?>>

Tossì prima di rispondere. <<Credo di avere una spalla e una gamba rotta. E forse anche il naso.>>

Respiravo a fatica in quella cantina maleodorante e senza aria, e la paura di non uscirne vivi iniziò ad attanagliarmi lo stomaco. Avrei voluto vomitare, ma non riuscivo a fare nemmeno quello.

L'unica cosa che mi venne in mente fu di alzarmi e cercare una qualunque fonte di luce. Posai la testa del capo lentamente a terra e gli promisi che sarei tornata subito. Mi alzai e cercai il muro con le mani: lo trovai a qualche metro e iniziai a camminare con una mano sul muro e l'altra davanti al viso per non sbattere contro gli ostacoli della cantina. Di sottofondo il lamento costante di dolore di Jonathan, che non faceva altro che spronarmi a fare qualcosa in fretta.

Mi abbassai numerose volte per non battere la testa su degli scaffali; il perimetro della cantina era davvero immenso, pensai che probabilmente era grande quanto l'intera casa e la attraversava per intero. I lamenti iniziarono ad apparirmi piuttosto lontani e mi chiesi se non fosse stato il caso di tornare indietro e abbandonare l'idea di trovare una fonte di luce, quando un altro rumore soffocato mi fece voltare la testa nella direzione opposta.

<<Chi c'è?>> urlai. <<Juan? Sei tu?>> chiesi piena di speranza.

<<No, Geneviève.>> rispose una voce femminile.

Mi spaventai, ma cercai di restare calma. Quella voce sommessa conosceva il mio nome, ma la mia priorità erano Juan e Jonathan.

Feci un altro passo e urtai contro un tavolo. Tastai gli oggetti presenti su di esso: riconobbi una corda, un altro strano attrezzo, un coltello affilato e una candela. Presi la candela cercando di frenare le mie mani tremanti, poi cercai un acciarino.

La voce parlò di nuovo. <<Dovresti trovare un acciarino a qualche centimetro dalla candela.>> poi tossì appena, con un filo di voce.

Seguii le sue direttive e lo trovai poco distante. Dopo qualche tentativo riuscii ad usarlo e mi apprestai ad accendere la candela. La luce che emanava non era molto ampia, però almeno riuscii a vedere davanti al viso.

<<Ci sei riuscita.>> disse la voce. <<Sei sempre stata molto intelligente.>>

Mi arrestai di colpo perché riconobbi finalmente la voce nell'ombra. Avanzai lentamente illuminando il cammino e, qualche metro dopo, vidi la sua figura raggomitolata contro la parete. Mi inginocchiai e avvicinai la candela per essere certa del sospetto che avevo: la figura si lasciò illuminare il viso e tentò di sorridermi, ma una lacrima scivolò giù dai suoi occhi chiari.

<<Mio Dio...>> biascicai incredula e terrorizzata. <<Sara?>>

La ragazza annuì mordendosi le labbra. I capelli di uno splendido biondo scuro erano sporchi e appiccicati sulla fronte; gli occhi verdi e pieni di vita sostituiti da due occhi grigi e due brutte occhiaie. Il viso sporco, i vestiti logori. Da quanto tempo era rinchiusa in quell'inferno? Notai una catena lungo la parete, e Sara se ne accorse. In risposta tolse i capelli dal viso e vidi una specie di collare di ferro legato stretto al collo.

<<Come un cane.>> disse lasciando cadere numerose lacrime.

Le mani tornarono a tremarmi e mi sedetti sulle ginocchia per non cadere a terra. <<Da quanto tempo siete qui?>> riuscii a dire solo.

Lei si pulì il viso con una mano e mi guardò negli occhi. <<Da quando te ne sei andata...>> 

Si, padrone?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora