.24. Per fortuna ho te.

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Barcellona, 
15 Dicembre 1808.

Non ti permetterò più di allontanarti da me.

Quella notte mi addormentai con questa frase nella testa.

Era una bellissima frase che mi era venuta fuori direttamente dal cuore. Nessuno ci avrebbe più potuto separare. Al diavolo tutti; il padrone, il lavoro, Lorein Castro. Saremmo esistiti solo noi. Per sempre solo noi.

Nel cuore della notte sentii la porta della mia camera aprirsi lentamente. Spalancai gli occhi perché sapevo già chi fosse e perché era lì. Mi avrebbe sicuramente scoperta.

Il cuore mi martellò in gola quando il padrone si sedette ai piedi del mio letto. <<Geneviève svegliati.>> sussurrò.

Era inutile da parte mia fare finta di dormire, tanto in un modo o nell'altro mi avrebbe svegliata lo stesso.

Stropicciai gli occhi e voltai il viso nella sua direzione. Aveva la solita candela in mano che gli illuminava parte del viso, i capelli spettinati sulle spalle, la camicia con cui dormiva aperta sul petto e gli occhi stanchi. Era un angelo persino con lo sguardo turbato che mi stava riservando.

<<Padrone.>> esordii.

Alexander poggiò la candela sul comodino di legno accanto al letto ed io serrai le gambe in attesa di ciò che sarebbe successo subito dopo.

Ma lui non si spogliò.

Prese l'orlo delle mie coperte e lo alzò in modo da sistemarsi sul letto accanto a me. Si sdraiò e poggiò la testa sul muro e le gambe morbide distese. Io me ne stavo accanto a lui ad osservarlo un po' stranita e sorpresa. Voltò lo sguardo verso di me e allargò un braccio in modo da farmi sistemare la testa sul suo petto.

Obbedii e poggiai la testa sulla sua spalla, abbandonando un braccio sul suo torace.

<<È così facile con te.>> sospirò. <<Non c'è bisogno che io ti costringa a fare niente. Perché con gli altri non può essere lo stesso?>>

Entrambi guardavamo un punto indefinito davanti a noi. Io osservavo il modo in cui le sue gambe poggiavano nel mio letto con tanta familiarità ed eleganza. Come se fossero abituate a stare lì. Osservavo la mia gamba poggiata leggermente sopra la sua, anch'essa abituata a stare in quella posizione. Ma la verità era che noi non eravamo mai stati così a letto. Quando entrava nella mia stanza voleva solo il mio corpo e subito dopo, senza parlare, andava via.

<<Avete bisogno di costringere qualcuno, padrone?>>

Mentre parlava sentivo i muscoli del torace muoversi e il cuore pulsare prima lentamente, poi più veloce per poi ancora calmarsi. Sembrava che stesse pensando a qualcosa che lo turbasse molto e il solo pensarci lo faceva arrabbiare.

<<Costringere? No... nel mio lavoro non devo costringere nessuno. Io devo convincere il cliente a comprare i miei lavori. E se non succede, beh... raramente riesco a trovare altri compratori.>>

Sospirò ancora e, con l'altro braccio libero, si sistemò i capelli dal viso. Poi, con quella stessa mano, prese ad accarezzarmi i capelli.

<<State avendo problemi?>> chiesi sottovoce per paura che mi potesse rimproverare per la mia curiosità.

Ma sembrò non farci caso.

<<I problemi sono all'ordine del giorno ormai. Diverbi in famiglia, discussioni a lavoro... è tutto un enorme casino, Geneviève. E poi tra qualche giorno la mia primogenita si sposa, riesci a crederci?>>

No che non ci credevo.

Quel matrimonio non sarebbe mai avvenuto.

<<La mia bambina.>> continuò come se stesse parlando da solo. <<Sembra appena ieri che è nata, e invece andrà in moglie ad un altro uomo. Come può Dio separare una figlia dal proprio padre?>>

Così come separa due amanti da una vita destinata ad aversi.

Alexander continuò ad accarezzarmi i capelli con movimenti lenti e circolari.

<<Avete deciso voi di darla in moglie, padrone. Non è stato Dio.>>

Forse avevo esagerato.

Percepii i battiti del suo cuore accelerare. <<Io ho solo fatto le sue veci. Prima o poi si sarebbe dovuta sposare ed è stato lui ad inventare il matrimonio, non io.>>

Era una visione della storia un po' diversa da come la vedevo io, ma il padrone non si era arrabbiato per la mia frase e non avevo il coraggio di proseguire oltre.

Siamo solo noi gli artefici del nostro destino. Come può una persona dall'alto permetterci di seguire il nostro cammino? No, non aveva senso per me.

<<Mia moglie pensa che non ho fatto bene a dichiarare la loro unione. Però non avevo scelta, capisci? È molto doloroso ammetterlo ma al momento i Garçia ci servono come il pane.>> mormorò a bassa voce. <<Li stiamo ingannando, Geneviève. Siamo noi quelli bisognosi di loro, non viceversa. Stiamo andando giù a picco e i Garçia ci servono per ristabilire la rotta.>>

Mi si gelò il sangue.

I Castro non avevano più denaro e gli servivano i Garçia per stabilizzarsi. Li avevano ingannati dicendo loro che avevano denaro a non finire e che l'unione dei due ragazzi gli avrebbe portato ancora più denaro, ma non era vero.

Ed io stavo per mandare in frantumi il futuro di quella famiglia negandogli il matrimonio. Cosa stavo facendo?

Mi sentivo male al sol pensiero.

<<Sei troppo silenziosa.>> osservò il padrone dopo un po'. <<Lo so che non te lo aspettavi nemmeno tu, ma...>>

<<Va tutto bene.>> lo interruppi accarezzandogli il petto. <<Padrone.>>

Lui sembrò tranquillizzarsi. <<Per fortuna ho te, mia Geneviève. Per fortuna ho il nostro patto.>>

Si, padrone?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora