Barcellona,
19 Marzo 1809.Ebbi un orribile déjà vu che mi costrinse a mettere le mani alla bocca e a trattenere un urlo.
Alexander sorrise. La lampada ad olio che reggeva in una mano gli illuminava il viso da calcolatore, e reggeva nell'altra lo stesso fucile che aveva quasi ucciso Juan verso il petto di Jonathan, ancora incosciente.
In quel momento pensai che ci avrebbe uccisi tutti. Me, Jonathan, Juan, Sara. Nessuno avrebbe scoperto niente. Presto tutti si sarebbero dimenticati di noi. I genitori di Juan lo credevano impegnato in uno dei suoi viaggi lunghissimi, Alexander avrebbe coperto Sara e Lorein, e presto avrebbero trovato un sostituto come proprietario del bordello di Jonathan. E, insieme alla sua morte, se ne sarebbe andato via anche l'unica persona che aveva sempre dimostrato di tenere davvero a me.
<<Cosa hai intenzione di fare?>> guaì Juan stringendo forte la mia mano. <<Mi hai allontanato in modo da scendere qui sotto indisturbato e ucciderci tutti?>>
<<Ti ho allontanato per costringere Geneviève a cercarti in modo da permettermi di scendere qua sotto e chiacchierare un po' con mia figlia e questo gentiluomo qui.>> indicò Jonathan con il fucile. <<Però purtroppo non si è ancora svegliato.>>
<<Perché fate tutto questo?>> urlai trattenendo le lacrime.
Provavo tanta paura, ma soprattutto tanta rabbia. Sara se ne stava in silenzio nell'angolo, incapace di fare o dire qualcosa.
Alexander mi guardò abbozzando un sorriso. <<Mia Geneviève.>> disse con quel suo solito modo provocante. <<Faccio tutto questo solo per farti capire che sei mia e che niente di ciò che farai o dirai potrà dissuadermi dal folle desiderio che provo per il tuo corpo.>>
<<Voi siete malato!>>
<<Non è colpa mia!>> rispose urlando e facendomi indietreggiare. <<Sei tu che mi hai provocato! Con quelle movenze da ragazzina inesperta, le curve del tuo corpo sempre in bella vista per me. Quel tuo sorriso che diceva "Forza! Prendimi! Sono tua!">> cinguettò la mia voce e vidi la pazzia nei suoi occhi. Lo stesso folle luccichio che notai quando mi stuprò la prima volta. <<Voi donne siete tutte uguali. Dite che non ci volete, poi ci provocate e alla fine siamo noi quelli cattivi.>>
Le sue parole rimasero nell'aria per qualche istante, lasciandomi riflettere sul suo discorso folle. Per lui, siamo noi donne a voler essere violentate perché ci mettiamo in mostra. Siamo noi che chiediamo di essere picchiate, noi che vogliamo restare incinte di un figlio nato dal frutto di uno stupro. Chi mai potrebbe pensare davvero che sia così? Un malato, un uomo folle. Sperai con tutta me stessa che in futuro le cose sarebbero cambiate. Che noi donne avremmo potuto vestirci o parlare di qualunque cosa senza la costante paura di essere toccate e violentate. Desiderai di vivere abbastanza per vedere con i miei occhi quel mondo, decisamente migliore del mio, ma probabilmente sarei stata morta prima dell'alba.
<<Siete malato.>> sussurrai.
<<Però ti è piaciuto lasciarti andare al calore umano di uno sconosciuto, eh Geneviève? In quel momento non hanno valso tutti quei tuoi discorsi, eh? Ti sei arresa a lui dopo appena cinque minuti.>>
Vidi con la coda dell'occhio Juan che mi guardava incredulo. <<Di cosa sta' parlando?>> balbettò.
Io non riuscivo a parlare. Avevo il cuore in gola e mi tornò alla mente l'espressione del capo quando lo ringraziai per ciò che aveva fatto. Credetti che fosse stato lui a mandare Theo per farmi capire che fare la prostituta non era poi così male come credevo, se ti lasciavi andare al calore di un corpo che ti completava e ti provocava profondi orgasmi. Ma non era stato Jonathan.
<<Voi.>> dissi indignata guardando il padrone fisso negli occhi. <<Voi sapevate dove fossi, lo avete sempre saputo.>>
Lui alzò la testa, fiero che avessi capito. <<Certo che lo sapevo. Ho solo aspettato il momento giusto per ricondurti da me.>>
<<Di cosa sta' parlando?>> ripeté Juan.
Alexander mi precedette. <<Vedi, caro signor Garçia, la ragazza di cui siete tanto innamorato non ha perso tempo a piangere per la vostra scomparsa e si è subito buttata tra le braccia di un altro.>> Juan continuava a guardarmi con aria ferita ed io non riuscivo a sostenere il suo sguardo. <<Ha capito che infondo non vi amava abbastanza, se era pronta per farsi scopare da un altro.>>
<<Smettetela!>> gridai arrabbiata e mordendomi le labbra per non piangere. <<Non avete idea di cosa ho passato!>> guardai finalmente Juan negli occhi. <<Ho pianto giorno e notte per mesi. Ero fragile, mi sentivo in colpa e lui ne ha approfittato mandandomi un ragazzo e ingannandomi. Non appena ho capito l'ho mandato via, mi devi credere.>>
Juan mi lasciò la mano e si scostò di un passo. <<Non ti riconosco.>>
Le lacrime rigarono senza controllo il mio viso e non mi sforzai di fermarle. Sentii Alexander ridere della situazione in cui mi aveva cacciata e persi le staffe. Feci per raggiungerlo e fare qualunque cosa in modo da fargli male o per lo meno impedendogli di premere quel grilletto, ma lui lo capì e alzò il fucile nella direzione di Juan.
<<Se fai un passo, lui muore. E stavolta per davvero.>>
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Si, padrone?
Ficción históricaStoria completa di revisione disponibile su Amazon in formato ebook e cartaceo. Qui presente l'intera storia ma senza la revisione e le parti aggiunte. . Spagna, 1800. Geneviève è una domestica della famiglia Castro, lavora nella loro tenuta da quan...