.53. Il piano.

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Barcellona,
19 Marzo 1809.

La mia mano tremò quando la misi nella tasca e strinsi forte l'acciarino. Non era un attrezzo che usavo spesso, anzi, lo avevo usato così poche volte che sperai che al momento giusto sarei riuscita ad usarlo senza perdere troppo tempo.

Alexander finalmente smise di puntare il fucile su mio padre. <<Siete liberi.>> pronunciò con voce profonda, senza smettere di guardare me. <<Ma Sara resta qui.>>

Scossi la testa. <<Mio padrone, avevo chiesto che anche Sara fosse liberata in cambio del mio corpo.>>

Spostò lo sguardo su sua figlia. <<Non è in grado di camminare.>>

Mi pervase una nota di terrore quando lessi quell'emozione negli occhi di Alexander: la pazzia. Gli occhi che brillavano, il ghigno sulle labbra. Non feci in tempo ad impedirlo, però scostai il suo braccio dalla mira appena presa. Il colpo partì e raggiunse lo stesso Sara, ma, invece della testa dove aveva mirato, raggiunse una gamba.

Sara urlò in agonia e io mi sforzai di non tapparmi le orecchie per il frastuono che continuava ad echeggiare nei sotterranei.

Juan cercò di raggiungermi ma Alexander gli puntò contro il fucile. <<Non un altro passo, altrimenti il prossimo sarà per te.>> ringhiò.

Mi affrettai a posare le mani sul suo braccio delicatamente e cercai di assumere un tono di voce controllato. <<Mio padrone, avete promesso.>>

<<Hai ragione, mia Geneviève.>> spostò lo sguardo su Jonathan. <<Se riesci a camminare, puoi andare via. A patto che di questa serata nessuno parli mai più.>>

Annuii in risposta, poi supplicai Juan con lo sguardo. <<Aiutalo ad alzarsi, per favore.>>

Juan, sempre sotto mira dal padrone, raggiunse Jonathan e cercò di aiutarlo a rimettersi in piedi. Le urla di Sara ancora squarciavano i sotterranei ed io mi sforzavo di non piangere.

Speravo che il piano sarebbe andato a buon fine, ma in quel momento non avevo idea di come salvare anche Sara. Era ancora legata e incapace di camminare da sola.

Quando il capo fu in piedi si appoggiò completamente a Juan, non riuscendo a muovere una gamba e una spalla, entrambe rotte. Dal naso continuava a colare sangue scuro e stava pian piano diventando viola.

Juan però guardava solamente me. Non riusciva a capire. Non dopo tutto quello che aveva passato, e non dopo aver visto con i suoi occhi cosa il padrone poteva fare a chi non gli obbediva. Credette che mi stavo arrendendo per lasciarli vivere, ma io avevo cercato a lungo una soluzione per salvare tutti.

Solo che man mano che i secondi passavano e il mio corpo urlava in cerca di aria, sudando e rendendo le mie mani scivolose, il piano sembrava sempre più un obbiettivo lontano e inarrivabile.

Alexander mi cinse la vita. <<Presto sarai solo mia.>> sussurrò nel mio orecchio.

Mi corse un brivido lungo la schiena e mi sforzai di restare impassibile, però non riuscii a rispondere.

Juan allungò una mano nella mia direzione. <<Ti prego, vieni con me.>>

Il padrone mi precedette. <<È me che vuole.>> ruggì senza smettere di lasciarmi. <<Ora via di qui.>>

<<Non finisce qui.>> rispose a denti stretti, con i capelli ricci quasi del tutto sugli occhi.

Io ne approfittai per posare di nuovo la mano nella tasca e a stringere avidamente quel piccolo attrezzo. Mi tremavano le mani e sudavano, ma mi sforzai di restare calma e frenare il ritmo anormale del mio cuore. Per usarlo al meglio avrei dovuto essere calma e decisa, e di certo non con le mani scivolose.

Il piano sarebbe andato a buon fine. Loro sarebbero presto usciti da quella villa, ed io ne avrei approfittato per usare l'acciarino e correre a liberare Sara.

<<Oh, giovane Garçia.>> mormorò il padrone sorridendo. <<Credi davvero che ti lascerò andare a raccontare a tutti cosa è successo qui?>>

Juan sgranò gli occhi e tutto improvvisamente mi parve fermarsi e andare a rallentatore. Mi slegai dalla presa e mi allontanai di un passo, presi l'acciarino e subito cercai di creare una scintilla.

Fu Juan ad accorgersi per primo di ciò che stava succedendo, voltando lo sguardo su di me e aprendo la bocca, sorpreso. Alexander rispose alla sorpresa di Juan e mi vide alle prese con l'arnese.

Ti prego, ti prego, ti prego.

<<Mia Geneviève, cosa stai...>>

Non ebbe il tempo di finire la frase, che finalmente una scintilla si generò e mi affrettai a raggiungere il padrone.

Il liquido della candela ad olio – che cadendo gli aveva imbrattato la camicia – prese subito fuoco come una fenice risorta dalle ceneri e a lungo assopita.

Il fuoco divorò i suoi vestiti e il padrone non riuscì a fare niente per impedirlo.

<<Scappate!>> urlai ai due uomini increduli che avevano assistito alla scena.

Ma il padrone si era già gettato su di me. 

Si, padrone?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora