.36. Fantasmi.

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Barcellona, 
18 Marzo 1809.

Stava finalmente andando tutto bene. Non ero di certo felice e tanto meno tranquilla di vivere in un bordello, ma almeno nessuno mi maltrattava e avevo una camera solo per me e tre pasti caldi al giorno. Non potevo proprio lamentarmi, eppure c'era una sensazione strana nel mio stomaco che mi accompagnava durante la notte e mi attendeva già sveglia la mattina presto. Non sapevo se fosse una sensazione negativa o positiva, sapevo solo che continuavo a percepirla come se fosse stato un velo invisibile poggiato sulle spalle.

Tentavo di non pensarci e di ignorare il vuoto nello stomaco che provavo non appena mi lasciavo andare e sorridevo con spensieratezza.

E la cosa peggiore era che... avevo ragione.

Ma ancora non lo sapevo.

.................

Quel pomeriggio piovoso di Marzo stavo pulendo una camera del piacere, quando entrò Katarina. Si fermò per un attimo a guardarmi in silenzio, poi sospirò. Sembrava indecisa sul cosa fare.

<<Salve Katarina.>> la salutai con un sorriso.

Non rispose.

Io e lei avevamo orari diversi, per questo motivo ci incontravamo poco durante la giornata. Lei lavorava di notte e di giorno solo "a domicilio", per questo quella volta la incontrai a casa del padrone.

Il vestito stretto sul petto le evidenziava le curve formose del seno e la collana a forma di goccia luccicò al bagliore della luce del tramonto che proveniva dalle mie spalle e inondava di luce arancione la camera.

Si sedette sul letto ancora disfatto e mi guardò in attesa.

<<Va tutto bene?>> chiesi dopo un po'. Quella situazione iniziava a diventare strana.

<<Sì, è solo che devo dirti una cosa e non so esattamente in che modo farlo e come la prenderai.>> parlò finalmente.

In quell'istante il velo invisibile divenne più pesante e la pressione nel petto aumentò. Sapevo che ciò che mi stava per rivelare aveva a che fare con quella strana sensazione che avvertivo da ormai qualche mese. E finalmente stavo per scoprire di cosa si trattava.

Picchiò leggermente sul letto accanto a lei. <<Vieni, siediti.>>

Feci come mi aveva detto e mi sedetti a mezzo metro da lei, così vicina da notare tutti i particolari del suo viso: gli occhi castani, le labbra carnose e le ciglia molto lunghe. C'era qualcosa in quegli occhi, un tormento molto evidente che non le dava pace.

<<Sono stata a casa di Alexander Castro oggi.>>

Era lui. Quella brutta sensazione era lui. Il motivo per cui mi trovavo lì, il perché dei miei incubi e delle mie paure.

Era e sarebbe stato per sempre lui.

Non risposi, così lei continuò. <<Mi ha chiesto se sapessi dove tu fossi scappata. Chiaramente gli ho detto che non ho idea di dove tu sia e credo ci abbia creduto, ma...>> fece una pausa.

<<C'è dell'altro vero?>>

Annuii. <<Stavo andando via dalla tenuta, quando ho udito delle urla disperate di aiuto. Provenivano dalla cantina, e più quell'uomo urlava più il rumore di catene sovrastava la sua voce. È stato terribile...>>

Rimasi interdetta. Sapevo che il padrone fosse un uomo con poca lucidità, ma mai avrei pensato che sarebbe addirittura stato capace di rapire qualcuno e torturarlo.

Ma infondo, non avrebbe dovuto sorprendermi.

<<Perché me lo racconti?>>

Katarina prese le mie mani nelle sue e strinse forte, poi notai una lacrima che a tutti i costi voleva trattenere. <<Perché l'uomo urlava il tuo nome, Geneviève. Più e piè volte, senza sosta come una lunga e lenta agonia.>>

Mi alzai dal letto barcollando e sentii la forza pian piano abbandonarmi e le gambe diventare di pasta frolla. Il sangue non circolò più, non riuscivo a deglutire e il cuore andava troppo, troppo piano.

<<Non volevo dirtelo perché conosco la tua storia e ho paura che tu possa fare un'azione sconsiderata.>>

Mi misi le mani nei capelli e scossi forte la testa per scacciare via il nome che veniva fuori dalla mia mente. <<No, non può essere...>>

Katarina si alzò e tentò di calmarmi poggiando le mani sulle mie spalle. <<Ho paura di sì, tesoro. Ho tanta, tanta paura che sia lui.>>

Alzai il viso rigato di lacrime. <<Io l'ho visto in una pozza di sangue, Katarina. Stava morendo...>>

Ma non era morto quando sono scappata.

L'ho abbandonato nelle mani del padrone.

<<Ti prego di non fare azioni sconsiderate di cui ti pentirai.>>

<<L'ho già fatta abbandonandolo!>> urlai e mi divincolai dalla sua presa.

Non ce l'avevo con lei naturalmente, ma non riuscivo a calmarmi.

<<Non puoi tornare lì! Sei scappata perché ti maltrattava, cosa pensi che ti farà se riuscisse a metterti di nuovo le mani addosso?>>

<<Non mi importa!>> biascicai mentre la lacrime non la smettevano di scendere annebbiandomi la vista. <<Non posso lasciarlo lì! Non posso!>>

<<Che alternativa hai? Suonare il campanello pretendendo la sua liberazione?>>

Abbassai lo sguardo. <<Non lo so... ma devo fare qualcosa.>> mi imposi decisa.

Katarina sospirò e tornò davanti a me ed io immediatamente mi buttai tra le sue braccia. Accolse la mia richiesta di aiuto e ricambiò l'abbraccio stringendomi a se e mi sentii per qualche momento protetta tra le braccia di quella donna. Era ciò di più vicino che avevo ad una mamma – nonostante fosse più grande di una decina d'anni - e in quel momento mi serviva disperatamente per non crollare a pezzi.

Persa nel suo abbraccio, mi asciugai e feci una promessa a me stessa: Juan Garçia, verrò a salvarti.

Si, padrone?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora