.8. Come neve al sole.

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Barcellona,
20 Ottobre 1808.

Avvampai.
Voleva davvero che una domestica qualunque posasse per lui? Una domestica bassa, con gli occhi troppo grandi e con delle imperfezioni visibili a chiunque? Di certo io non ero paragonabile alla bellezza delle donne che ritraeva.

Il padrone sorrise maliziosamente passandosi una mano tra i capelli. <<Da vestita, per questa volta.>>

Mi rilassai un po'. <<S-si.>> balbettai. <<Padrone.>>

Alexander mi indicò il divano. Non sapendo esattamente che fare, mi avvicinai e mi sedetti piano su di esso, stringendomi con le braccia. Sollevai gli occhi quando lo vidi di fronte a me.

Mi slegò i capelli già scomposti per via della presenza di Gabrielle sulla mia schiena, poi mi tolse dalla testa la cuffietta bianca e da dosso il grembiule, lo gettò a terra e continuò a studiarmi. Mi sistemò i capelli in modo da averli tutti su un lato, poi slegò sul davanti con un movimento rapido il corsetto del vestito di un paio di nodi. Sussultati a quel movimento e arrossii.

<<Sei bella, Geneviève.>> sussurrò accarezzandomi una guancia.

Un brivido mi corse lungo la schiena.

Nessuno mi aveva mai detto che ero bella. Mi faceva piacere sapere che almeno per una persona lo ero. Io di certo non mi ritenevo tale.

Mi indicò di sdraiarmi su un lato e di posare le gambe sul divano, in modo che la gonna del vestito cadesse morbida sulle caviglie e a terra sul pavimento.

Andò verso un cavalletto, mi studiò per qualche istante, poi iniziò a disegnare.

Di tanto in tanto posava gli occhi su di me, poi continuava a tracciare linee sulla tela.

Dopo qualche ora lo vidi prendere un pennello e dei colori. Tracciò le ultime linee con la matita, poi la posò sul tavolino e iniziò a dipingere. Usò l'azzurro, il verde, l'arancione, il nero e tanti altri colori.

Non facevo altro che domandarmi come sarebbe venuto il dipinto.

Il padrone era molto bravo nel disegno, sapevo che aveva fatto parte a numerose mostre, ed era anche per quel motivo che era diventato un uomo benestante. Non sapevo come avesse ottenuto il titolo di conte, e di certo non lo avrei capito se anche qualcuno me lo avesse spiegato. Non ero molto brava nelle cose che riguardavano la politica e i nobili spagnoli. Mi limitavo a servire, era tutto ciò che avevo imparato a fare da tutta una vita. A stento sapevo leggere e scrivere, mia nonna mi aveva insegnato tanto tempo prima perché la scuola era fuori dalle nostre possibilità.

Il cuore non la smetteva di battere forte e quando lui mi guardava era sempre un colpo nello stomaco. Stavo provando sensazioni strane che non avevo mai provato, e lo stavo capendo pian piano.

Alexander si stava insinuando in me lentamente e lui neanche lo sapeva.

Fece buio presto, sebbene quando entrammo nello studio era quasi ora di pranzo. Avevamo saltato il pasto e neanche ce ne eravamo resi conto.

O almeno, io non ci avevo neanche pensato. Non mi sarei mai sognata di alzarmi da quel divano e interrompere quel momento.

Quando anche le ultime luci del tramonto scomparvero dietro le colline, vidi Alexander sospirare.

<<Non ho mai disegnato così bene.>> si lasciò sfuggire in un sussurro.

Solo allora mi alzai e cercai la forza per avvicinarmi a lui. Mi sistemai il vestito e cercai di coprirmi il petto il più possibile, ero troppo esposta per i miei gusti.

Lo raggiunsi; osservava la tela con aria spenta e lontana. Guardai anche io la tela, ma non vidi altro che buio. Senza le candele non si vedeva niente in quello studio.

Non mi neanche accorsi che il padrone si era mosso per andare ad accenderne una. Comparve di fronte a me, la flebile luce della candela davanti al viso che illuminava gli zigomi spigolosi e gli occhi del colore dello smeraldo. Ci osservammo per qualche istante, poi allontanò la candela per posare il flebile fascio di luce vicino alla tela.

E allora io vidi.

Vidi il frutto del lavoro di tutte quelle ore, il lavoro di un'artista.

I capelli rossicci della ragazza cadevano mossi e lunghi su un lato, le labbra rosse e gli occhi grandi che guardavano in alto. Sulla fronte il suo braccio posato delicato, le dita dell'altra mano a toccare il pavimento. La testa poggiata sul bracciolo del divano e il corpo steso su di esso.

Il busto fasciato da un vestito nero, il seno prosperoso e una gamba oltre la gonna e visibile. Troppo visibile.

Di certo una domestica di quegli anni così scoperta avrebbe dato molto scalpore.

Non sembravo io, non potevo essere io. Io non ero così bella. Avevo una marea di lentiggini sulle guance e sul naso, e quelle stesse a tappezzarmi le spalle. Io di certo ero più in carne della ragazza che aveva ritratto e anche più bassa, e quella gamba visibile era troppo magra e perfetta per essere la mia.

Alle sue spalle, la vetrata mostrava un paesaggio verde e un cielo intriso di nuvole grigie, la pioggia ad infrangersi sul vetro.

<<Un'artista vede sempre la realtà così come la vuole vedere.>> mormorò il padrone.

<<Non sono io.>>

Alexander spostò la candela di nuovo verso di lui e quindi mi costrinse a guardarlo.

Non volevo farlo, mi toglieva il respiro.

<<Promettimi che non sarà l'unico.>>

Mi morsi un labbro. <<Ve lo prometto.>>

Posò la candela sul tavolino da disegno, poi mi si avvicinò. Accarezzò le spalle coperte dalle lentiggini, sembrò contarle nella mente. Portò una mano dietro la mia schiena e, con un rapido movimento, mi spinse a sé. Posai le mani sul suo petto, sulla camicia bianca aperta fino a metà busto.

Lo guardavo come si guarda un qualcosa che sai che stai per perdere per sempre.

Con quella stessa mano raggiunse i lacci posteriori del mio vestito, sulla schiena.
Lentamente li tirò, senza mai smettere di guardarmi.

E io mi sciolsi come neve al sole.

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