due

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Il mattino dopo, mi svegliai sentendo dolore in tutto il corpo.

«Ugh!» bofonchiai, strofinandomi gli occhi, ancora chiusi.

Ci misi un po' prima di capire dove mi trovassi.

«Ah, già.» mormorai, tirandomi su a fatica. «Non sono più in Australia.»

Nello stesso momento in cui conclusi la frase, mi ricordai anche per quale motivo non mi trovavo più in Australia e per poco non ebbi un infarto.

«Cazzo!» sibilai tra i denti, voltandomi di scatto per guardare l'orologio del telefono.

Erano le nove e venti. Avevo poco più di mezz'ora per fare la doccia, mangiare qualcosa, uscire di casa e arrivare in agenzia. Non potevo tardare il mio primo giorno di lavoro. Era chiaro che qualcosa sarebbe saltato e la colazione mi sembrava l'opzione più ragionevole.

«Merda, merda, merda!»

Balzai giù dal letto e in tempo da record, volai in bagno, mi spogliai e entrai nella doccia. Di solito preferivo fare le cose con calma al mattino, soprattutto perché non ero una persona fin da subito arzilla e pimpante, ma, date le circostanze, non potevo permettermi un lusso del genere.

Uscita dalla doccia, mi vestii alla velocità della luce, lasciando i capelli umidi. Infilai il primo paio di jeans che trovai nella valigia e una maglietta grigia a maniche lunghe, fin troppo larga. Arrivava a metà coscia, il che mi fece dedurre che doveva essere una delle tante maglie che avevo rubato a mio padre. Ormai era tardi per restituirgliela.

Controllai l'orologio e tirai un respiro di sollievo nel constatare che avevo tempo per asciugare i capelli. Se non l'avessi fatto, il giorno dopo mi sarei sicuramente svegliata o con la cervicale oppure con un febbrone da cavallo.

Tirai fuori il fon e lo attaccai alla presa in bagno. Fortunatamente, i capelli non superavano le spalle, per cui non impiegai troppo tempo per asciugarli – anche se fare in modo che la frangetta stesse dritta sulla fronte fu alquanto complicato.

Era giunto il momento di uscire, altrimenti il prossimo passo sarebbe stato quello di prenotare il biglietto per tornare Sydney. In fretta e furia, afferrai tutto ciò che mi sarebbe potuto servire, compresa la chiavetta USB contenente i miei pezzi, e uscii di casa, venendo fin da subito sopraffatta dal traffico di Seul.

Mentre mi destreggiavo tra la folla, alla ricerca di un taxi libero, il mio cellulare prese a squillare.

Lo tirai fuori dalla tasca di jeans e alzai gli occhi al cielo nel leggere il nome sul display.

«Mamma.» risposi, sbuffando internamente.

«Ciao tesoro!» la sua voce squillò nel telefono. «Allora, sei arrivata? Tutto bene il viaggio?»

«Si, si! Tutto bene.»

«E tu come stai? Ti sento affannare, hai preso il raffreddore? Com'è l'appartamento?»

Vidi un taxi in lontananza e a quel punto decisi di gettarmi letteralmente in mezzo alla strada. Una macchina che mi sfrecciò di fianco suonò il clacson prepotentemente, ma non me ne curai, soprattutto quando il taxi si fermò e il conducente mi fece segno di salire.

«Big Hit Entertainment.» indicai al tassista che, senza impostare il navigatore, riprese a guidare.

«Tesoro?» la voce di mia madre mi ricordò la sua presenza dall'altra parte della linea.

«Scusa mamma. Sono un po' di fretta, sto andando a lavoro!»

«Giusto! Ti trovi bene?» chiese e io corrugai le sopracciglia. Era scema o cosa?

✓ Seoul, Why Do You Sound Like Soul? {BTS - Jeon Jungkook} ✓Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora