ventisette

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«Allora, Chaeyoung-ah! Ti è piaciuta la nostra esibizione?» domandò Jimin, stritolandomi in un abbraccio. I GDA si erano appena conclusi e i BTS, così come chiunque altro presente, erano appena tornati nei loro camerini per cambiarsi e, finalmente, tornare a casa.

Anche io ero tornata da poco, appena in tempo aggiungerei. Il manager, ovviamente, mi aveva guardato in cagnesco dal momento che la mia gita in bagno era durata effettivamente troppo. Io, comunque, ero troppo allucinata per potermi preoccupare del suo sguardo. Ancora non potevo credere cosa fosse successo all'interno di quel camerino, insieme al CEO della Cube Entertainment. Non solo mi aveva proposto di diventare un idol, ma io, invece che rifiutare in modo categorico, ero uscita dalla stanza rigirandomi tra le mani il suo bigliettino da visita.

Prenditi tutto il tempo che ti serve per pensarci, sarai sempre la benvenuta!

Così aveva detto, prima di lasciarmi da sola. E, adesso, non sapevo proprio che fare. Di certo, non potevo parlarne con qualcuno: una delle regole alla Big Hit era quella di non avere a che fare con dipendenti di altre agenzie, figuriamoci con il CEO stesso! Il mio licenziamento era assicurato e, probabilmente, mi sarei anche dovuta subire una qualche penale!

«Chae-yah!» Jimin mi scompigliò dolcemente i capelli, riportandomi nel mondo dei viventi.

«Sì, scusami! Ci sono! Cos'hai detto?» domandai, passandomi una mano sulla fronte. Stavo sudando, ma fuori c'erano meno di cinque gradi.

«Ti ho chiesto come è andata la nostra esibizione, l'hai vista, vero?» chiese, corrugando la fronte. Notai una nota di dispiacere nella sua voce: probabilmente aveva capito che mi fossi persa il loro momento. Stesi le labbra in una linea sottile, combattendo contro il desiderio di mentirgli solo per farlo sorridere.

«No, mi dispiace, Jiminie.» abbassai lo sguardo, sinceramente dispiaciuta e rilasciai un respiro. «Purtroppo me lo sono persa.»

«Ah, peccato.» mormorò lui.

«Però,» richiamai la sua attenzione, parlando in maniera più vivace, «lo guarderò mentre torniamo a casa! Te lo prometto!»

In un batter d'occhio, sul suo viso comparve un bellissimo sorriso e i suoi occhi scomparvero, lasciando spazio a due righe scure fatte di ciglia.

«D'accordo, sei perdonata!» disse, battendo con dei colpetti leggeri le mani sulla mia testa.

«Jimin-huyng! Datti una mossa, non ho intenzione di restare qua dentro a lungo solo perché ti sei perso a chiacchierare con qualcuno di più basso di te.»

E fu così che Jeon Jungkook riuscì a colpire sia me che Jimin con un solo proiettile.

«Ehi!» esclamammo io e Jimin, entrambi offesi dal commento poco carino del moro. Jungkook, imperturbabile come sempre, si limitò a fare spallucce per poi andarsene.

«Ripetimi per quale motivo abbiamo deciso di mantenere le stesse macchine dell'andata?» domandai al ragazzo dai capelli arancioni, di fianco a me.

«Non saprei...» sussurrò lui per non farsi sentire da orecchie indiscrete. «Forse perché siamo masochisti?»

Mezz'ora più tardi eravamo tutti di nuovo nelle macchine. Questa volta eravamo stati accompagnati dalle guardie del corpo dei ragazzi: i fan, fuori dallo stadio, erano a migliaia. Nel vederli, appena uscita insieme ai ragazzi, i miei piedi si erano bloccati per lo shock e non ero più riuscita ad avanzare. Jimin e Jungkook avevano dovuto afferrarmi per i polsi e trascinarmi fino alla macchina. Solo dopo che le portiere furono chiuse, riuscii a tornare in me.

«Chaeyoung!» mi chiamò Jimin. A giudicare dalla sua espressione, doveva essere l'ennesima volta che provava ad attirare la mia attenzione.

«Si?» domandai, sbattendo più volte le palpebre. Avevo come la sensazione di avere la vista appannata.

✓ Seoul, Why Do You Sound Like Soul? {BTS - Jeon Jungkook} ✓Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora