uno

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«Grazie mille!» dissi, scendendo dal taxi. «Un secondo che prendo la valigia.»

Mi incamminai verso il bagagliaio, ma l'autista mi precedette.

«Prego.» Sorrise, consegnandomi la mia valigia. «Sei venuta a trovare dei tuoi parenti?»

Scossi la testa.

«Sono qui per lavoro.» affermai.

Il signore, giustamente, strabuzzò gli occhi e mi fissò a bocca aperta.

«Lavoro?» chiese completamente incredulo. «Non voglio assolutamente essere scortese o offenderti, ma sembri troppo giovane per poter lavorare.»

Ridacchiai, sistemando il cappellino scuro sulla testa. Aveva ragione, da un certo punto di vista: avevo solo diciotto anni. I ragazzi della mia età, solitamente, andavano al college. E, fino a qualche mese fa, quello era il mio stesso piano. Poi, però, ero stata contattata da un'etichetta discografica coreana che era alla disperata ricerca di qualcuno che potesse produrre le tracce del nuovo album dell'unica band presente: i Bangtan Sonyeondan. Mi era apparso fin da subito un nome particolarmente lungo e complicato per una band kpop. Alle persone, al giorno d'oggi, piacciono le cose brevi e semplici.

Di fatto, scoprii presto (tramite Lisa, la mia migliore amica) che spesso abbreviavano il nome in BTS: già meglio. A quanto pareva, erano una delle band più importanti del momento in Corea, ma io non ne avevo mai sentito parlare. Mi ero sempre concentrata sugli artisti americani, ignorando completamente i miei vicini di casa.

Lisa, al contrario, li conosceva eccome. Quando le avevo detto il motivo per cui avrei dovuto lasciare l'Australia, si era incazzata da morire. Non tanto perché non ci saremmo viste per molto tempo, quanto più perché avevo ammesso di non sapere chi fossero questi "ragazzi a prova di proiettile".

«Lavoro nel campo della musica.» risposi all'autista che annuì fermamente, come se con una semplice frase avessi spiegato tutto.

«Vuoi diventare un'idol?»

Fu il mio turno di strabuzzare gli occhi. Io, un'idol? Era un ossimoro.

Risi di gusto.

«Oh no! Per nulla. Non sono tagliata per quel genere di cose!» Portai una mano a coprire la bocca per cercare di controllare la mia ilarità. «Assolutamente no! Lavoro per un gruppo.»

Ero tentata di dirgli anche il nome della band, ma se quello che avevo letto era vero, allora probabilmente anche il signore li conosceva. E nella mail che mi avevano mandato quando avevano deciso di assumermi, avevano specificato molto chiaramente che nessuno potesse sapere che avrei lavorato per loro. Non sapevo bene quale fosse il motivo, ma non mi interessava. Non avevo accettato quel lavoro per la loro fama: avevo bisogno di soldi e, per mia fortuna, avevo trovato il modo di racimolarne un po' facendo anche ciò che mi piace di più.

Salutai l'autista che, prima di ripartire, dal finestrino della macchina mi augurò buona fortuna per la mia vita. Sorrisi: per lo meno, la mia permanenza era cominciata bene.

Tirai fuori dalla tasca dei jeans il bigliettino su cui mi ero segnata il numero preciso dell'appartamento in cui avrei vissuto. Me lo aveva trovato l'agenzia, per cui le mie aspettative non erano altissime. Non che pretendessi troppo: mi bastava un letto, un bagno e una cucina. Nulla di più!

Dopo un paio di minuti, finalmente, trovai il condominio che corrispondeva al numero civico che avevo segnato e, con un po' di timore, mi incamminai verso il portone. Bussai lievemente, in attesa che qualcuno venisse ad aprirmi. Ci doveva per forza essere qualcuno, altrimenti dove avrei dormito quella sera?

Stavo quasi per tirare fuori il telefono e chiamare l'agenzia quando d'improvviso il portone si spalancò, rivelando una signora anziana.

«Si?» chiese, osservandomi attentamente.

Mi inchinai prontamente, ricordandomi tutti i consigli che i miei genitori mi avevano dato prima di partire, soffermandosi particolarmente sull'essere educata e rispettosa con gli altri, soprattutto se più grandi di me. Non che in Australia fossi sgarbata, sia chiaro! Era solo un po' diverso, lì in Corea.

«Buon pomeriggio!» La salutai, raddrizzando la schiena. «Sono Sin Chaeyoung, la nuova inquilina...»

«Ah, certo, certo!» mi interruppe la signora, spostandosi dall'entrata per farmi spazio. «Vieni pure dentro. Ben arrivata! Io sono Mijung.»

«Piacere di conoscerla.» sussurrai inchinandomi ancora una volta.

Trascinai la valigia all'interno dell'ingresso e mi fermai al centro della stanza, aspettando che Mijung mi raggiungesse.

«Com'è stato il viaggio?» chiese sorridendo, andando dietro il bancone.

«Lungo e faticoso. Sono stanchissima!» ammisi sinceramente, strofinando una mano sul volto.

«Non oso immaginare!» ridacchiò la signora. «Vieni con me.»

La seguii lungo le scale, faticando a trascinarmi dietro i 20 kg di valigia. Fortunatamente, si fermò sul pianerottolo del primo piano. Quando la raggiunsi, rilasciai uno sbuffo d'aria ma Minjung riprese subito a camminare, senza lasciarmi il tempo di riprendermi.

«Eccolo.» disse, indicando l'ultimo appartamento, in fondo al corridoio.

Con le chiavi che aveva in mano, aprì la porta e si fece da parte per darmi la possibilità di essere la prima ad entrare il mio futuro appartamento. Sarò sincera, per un secondo ebbi il terrore di quello che avrei potuto trovare. So di aver detto di non essere una persona particolarmente pretenziosa, ma sono pur sempre umana. Se, nell'entrare, avessi visto un topo, non credo proprio che sarei semplicemente stata in grado di fregarmene.

Per mia fortuna, non accadde nulla di particolarmente destabilizzante, anzi. Mi sorprese quanto, in realtà, l'appartamento fosse spazioso. Il salotto era abbastanza grande da contenere un divano davanti al televisore, un tavolo e una credenza appena di fianco alla porta d'entrata. Sulla sinistra si trovava la cucina, al centro del quale era posizionato un ulteriore tavolo. Per raggiungere la zona letto, bisognava tornare in salotto e imboccare il corridoio a destra, di fianco alla tv.

Con mia grande sorpresa, scoprii la presenza di non una, bensì due stanze. Per chi era la seconda? Dovevo condividere l'appartamento con qualcuno e avevano pensato di non avvisarmi?

«Due camere da letto?» domandai, indicando le due porte aperte. «Qualcun altro abita qui?»

Mijung scosse vigorosamente la testa.

«La tua agenzia ha espressamente chiesto la presenza di due stanze. Non so per quale motivo l'abbia fatto.»

Mi grattai la nuca, sospirando confusa.

«Fa nulla.» mormorai, appuntandomi mentalmente di chiarire la questione il giorno dopo.

Mijung mi diede tutte le informazioni tecniche riguardanti l'appartamento, prima di lasciarmi da sola.

«È ora di disfare la valigia.» mormorai tra me e me, afferrando il trolley e ripercorrendo il corridoio. Arrivata davanti alle due porte, battezzai la stanza sulla sinistra come la mia futura camera da letto. Non aveva nulla di speciale, semplicemente, davanti ai bivi, preferivo sempre scegliere la strada sulla sinistra.

Una volta entrata, mi gettai sul letto, scordando completamente dell'idea iniziale per cui ero venuta in camera. E, prima ancora che potessi fare qualcosa per evitarlo, crollai in un sonno profondissimo, senza sogni. 

✓ Seoul, Why Do You Sound Like Soul? {BTS - Jeon Jungkook} ✓Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora