trentuno

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Era da almeno dieci anni che non avevo la febbre. Certo, i sintomi li avevo provati tutti e più di una volta: mal di testa acuto, raffreddore a più non posso e mal di pancia da farmi piegare in due. Nonostante ciò, la temperatura sul termometro non si era mai alzata al di sopra dei 37 gradi. Mi consideravo fortunata; l'unico aspetto negativo era che non potessi usarla come scusa per non andare a scuola. Non che avessi mai avuto grossi problemi nell'inventarmene di più originali!

Per cui, mentre ero rannicchiata sotto le calde coperte del mio letto, circondata da fazzoletti di carta sporchi e medicine, mi chiedevo se fosse stata l'aria di Seoul a farmi prendere l'influenza peggiore della mia vita. Ero convinta che al posto della testa, fosse comparsa una gigantesca palla da basket che veniva sbattuta ripetitivamente contro il suolo. Le mie guance erano bollenti e sicuramente arrossate, mentre sotto gli occhi avevo due enormi segni violacei. Il resto della pelle aveva assunto un colore verdognolo, quasi cadaverico. Il che non era tanto lontano da come mi sentivo. Ero uno straccio.

Avevo passato gli ultimi quattro giorni rinchiusa nelle mura del mio appartamento. Stavo così male da non essere nemmeno riuscita ad andare a fare la spesa e il cibo in casa cominciava a scarseggiare. Non che avessi particolarmente fame: ogni volta che ingurgitavo qualcosa rischiavo sempre di rimetterlo. Mijung era passata a controllare come stessi un paio di volte, chiedendomi se avessi bisogno di qualcosa in particolare. Non avevo avuto il coraggio di dirle che la dispensa era quasi vuota. Era stata fin troppo gentile con me, da quando ero arrivata.

Dalla mia camera, udii un paio di chiavi essere girate nel chiavistello della porta di ingresso che si aprì per poi chiudersi immediatamente dopo. Doveva essere proprio Mijung. Quella mattina era passata per misurarmi la febbre e aveva detto che sarebbe tornata presto.

«Mijung?» provai a chiamarla ma la voce uscii in un sussurro smorzato e rauco. A malapena io riuscivo a sentirmi.

Rilasciando un leggero sbuffo d'aria, scacciai molto lentamente le coperte dal mio corpo e rotolai verso l'estremità del materasso.

«Ugh!» bofonchiai, ergendomi a sedere. Per un attimo rimasi immobile, sentendo la testa girare come un vortice. Quando fui di nuovo in grado di distinguere chiaramente i miei dintorni, feci pressione sulle braccia e, non senza fatica, mi alzai in piedi. Le gambe sembravano gelatina e, mentre camminavo, avevo il timore che potessero cedere da un momento all'altro.

Ripercorsi mentalmente i giorni prima che mi venisse la febbre, chiedendomi come avessi fatto ad ammalarmi. Ogni volta in cui ero uscita all'aria aperta, ero sempre stata attenta a coprirmi il più possibile, bardandomi con pile pesanti, sciarpe (non quella arancione, ovviamente), cappellini di lana e guanti.

«Mijung, sei tu, vero?» domandai di nuovo, sforzando la voce mentre percorrevo il breve corridoio che conduceva al salotto. Dalla cucina sentivo rumore di pentole che venivano spostate e uno sfrigolare di qualcosa. Stava cucinando? Era impossibile: gli unici ingredienti presenti nella mia dispensa erano un pacchetto di cracker aperto e i residui della scatola di cereali integrali. Sicuramente non bastavano per cucinare qualcosa.

«Mijung, ma...» cominciai a dire, entrando in cucina solo per paralizzarmi sul posto ad occhi sgranati.

Sconcertata, osservai la schiena di Jungkook flettersi mentre tagliuzzava velocemente quelle che sembravano essere delle cipolle. Non si era accorto della mia presenza. Di fianco a lui, sul piano cottura, erano poggiate diverse pentole.

Cosa ci faceva lui nella mia cucina, nel mio appartamento? Perché stava utilizzando i miei fornelli? E, soprattutto, perché c'era una busta della spesa sul tavolo?

«Cosa ci fai qui?» domandò Jungkook, facendomi voltare nuovamente verso di lui.

Lo guardai stralunata.

✓ Seoul, Why Do You Sound Like Soul? {BTS - Jeon Jungkook} ✓Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora