50. Il Marchio Nero

216 6 7
                                    

In Italia, la fine di maggio era un momento dall'incommensurabile bellezza. Le foglie dal verde smeraldino decoravano ogni ramo e cespuglio, i crepuscoli si tingevano di tinte fiammeggianti e porporine, i tetti arrossati facevano da cornice alle colline rigogliose che tutt'intorno figuravano il più ameno dei paesaggi e il vento caldo che carezzava vellutatamente. Delle giornate così lunghe, calde ed assolate Severus non le aveva mai viste, vissute: nemmeno credeva potessero esistere e Bologna era semplicemente stupenda in quell'atmosfera quasi estiva.
Spesso, la sera, lui e Matilde s'intrattenevano a lungo sul loro terrazzo a mangiare e conversare, magari accompagnati da un calice di vino rosso, dalle luci fioche della città e dai giochi di Bhuidhe e Menagramo. Sarebbe stato tutto perfetto se solo non fosse stato per la cupa ombra sinistra che calava inesorabile su Severus: la sensazione era quella di essere aspettato altrove... di un'attesa impaziente e bramosa.

Non ci volle troppo tempo per ricopiare interamente tutti i volumi antichi: le pozioni descritte al loro interno – insieme ad un numero piuttosto cospicuo di incantesimi e maledizioni – erano distillati e prodotti magici al limite dell'immaginazione umana. La professoressa Gilioli li aveva esortati ed aiutati a prepararne alcune e Severus le fu riconoscente – silenziosamente – più che mai, perché la sensazione che il Signore Oscuro gli avrebbe chiesto, di lì a qualche settimana, di prepararne qualcuna per il suo conto era prevedibile tanto quanto comprensibile.
Il progetto con Matilde proseguiva costantemente e la sua soluzione – ovvero del canto umano come riproduzione della musica prodotta dal movimento delle sfere celesti – aveva folgorato d'entusiasmo i professori, al punto che tesserono le loro lodi ogni volta che quella soluzione veniva citata.

*

-"Sei pronto?" chiese la professoressa Gilioli, quasi nascosta dalla penombra del laboratorio di pozioni.
-"Sì" rispose fermamente Severus, prendendo un bel respiro. Lo stesso fece Matilde, nonostante il suo turno fosse appena passato con risultati straordinariamente esaltanti. Stappò l'ampolla contenente la pozione dorata – frutto di lacrime e piume di fenice mescolate al sangue di thestral – poi estrasse la bacchetta dalla fondina dei pantaloni puntandola dinanzi a sé.
Il professor Bishop posò la carcassa di un grosso tacchino spennato e sventrato sul tavolo, poco dopo fece levitare la stessa porzione di pietra usata con Matilde, facendola scontrare lievemente con la pelle rosata del gallinaceo che iniziò ad annerirsi progressivamente. Severus agì immediatamente. Lanciò un incantesimo per far defluire il sangue all'interno delle vene e quindi versò la pozione direttamente dentro lo stomaco del tacchino; sentì un brivido gelido lungo la schiena che lo fermò per un istante. Senza esitare oltre, tese la bacchetta proprio sopra il punto di propagazione della maledizione ed iniziò a 'cantare'. Il suo non poteva essere definito esattamente un canto melodioso, armonioso e delizioso come quello di Matilde, piuttosto era simile ad un borbottio incomprensibile frutto di una timidezza e di un'insicurezza che mai gli avrebbero dato pace. Ed era proprio per quel motivo che temeva di non riuscire nella cura della maledizione, ma non appena quel timore si fece largo nel suo cuore, ebbe modo di ricredersi. Percepì chiaramente il placido calore provenire da dentro la bacchetta e invadergli la mano, il braccio, il petto... tutto il corpo. Lo stesso borbottio che lui stesso stava 'intonando' entrò in simbiosi con la vibrazione del nucleo della bacchetta; li sentì risuonare all'unisono in una spira che partiva dal cuore, avvolgendo le corde vocali e tutta la testa.

Devi volerlo per davvero

Quello era il segreto, secondo Matilde, per riuscire a curare la maledizione... o almeno riuscirci come ci era riuscita lei. E Severus lo voleva davvero.
Il calore si propagò in fretta e lo sentì chiaramente tracimare dalla punta della bacchetta, e funzionò.
Lentamente, la maledizione che si stava propagando sottopelle e tramite i vasi sanguigni rallentò il suo corso: pulsava, mordeva, pungeva pur di continuare nella sua malefatta della devastazione di una povera carcassa, ma Severus non cedette per un solo istante. Chiuse la mente e borbottò più forte, reggendo a fatica lo sguardo bruciante dei professori e di Matilde su di lui e dopo... fu solo un successo. Arrivò al punto di propagazione minimo della maledizione, arginandola ad un'area di pochi centimetri sulla pelle: oltre quel risultato non riusciva a fare di meglio, e lo stesso aveva fatto Matilde, quindi interruppe il flusso magico, vacillando per un brevissimo istante.
-"Magnifico!" esultò la professoressa Gilioli, affiancandosi a lui e posandogli una mano sulla spalla "Ottimo lavoro!".
Severus respirò profondamente, regolarizzando il battito del cuore che gli martellava dentro il petto ed equilibrando l'intensità del flusso magico accumulata negli ultimi minuti.
-"Avete fatto davvero un lavoro prodigioso, ragazzi" disse il professor Bishop "Nel giro di qualche mese siete riusciti a trovare la soluzione per bloccare il decorso di una maledizione fatale. Il vostro lavoro non è terminato, vero, ma avete lavorato coscienziosamente, minuziosamente... siamo davvero molto orgogliosi di voi"
-"Concordo su tutto, Zephaniah" sorrise la Gilioli, mettendosi proprio in mezzo a lui e Matilde e stringendoli entrambi "Tanto tanto tanto orgogliosi".
-"Questa sera firmeremo la redazione del vostro percorso e ve la consegneremo alla fine del corso tra qualche settimana, insieme agli altri ragazzi"
-"Quindi, per ora, possiamo chiudere il progetto?" chiese Matilde, con l'aria di una che bramava un poco di tregua.
-"Sicuro" asserì Bishop, sorridendo "E vi meritate un po' di riposo... almeno al di fuori delle lezioni".

La storia del PrincipeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora