Capitolo 36 (epilogo, prima parte)

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«Avete preso tutto?» Chiede mia madre, guardando prima me e poi Vivian. In realtà potrebbe anche solo chiederlo a me, dato che Vivian ha solo uno zaino di Winnie The Pooh con dentro i giochi per l'aereo, mentre io tutto il resto.

Alzo gli occhi al cielo. «Sí, mamma. Per la quindicesima volta sì.»

I nonni ci accompagneranno all'aeroporto, anche perché dobbiamo imbarcare una valigia grande, però poi avremo due o tre ore libere prima dell'imbarco.

Mio padre sta mettendo tutte le valigie in macchina: le loro, la mia, quella di Vivian e quella grande da imbarcare. Ho lasciato qui anche i libri di scuola, quelli di Portland, perché tanto a Boston non mi serviranno più. E il cavalletto da dipingere me lo spediranno tra qualche giorno i miei nonni, dato che in valigia non entrava.

Mi guardo intorno un'ultima volta, prima di seguire mamma fuori casa. Non ho idea di quando ritornerò qui: prima che nascesse Vivian mi ricordo che ci venivo ogni estate, poi abbiamo smesso. E credo che ritornerà a essere così: passeranno anni prima di ritornare.

Finalmente, però, ho smesso di piangere. Lunedì e ieri a quanto pare ho finito le lacrime, perché oggi non mi salgono neanche le lacrime agli occhi. Sento solo un dolore lancinante al petto, la testa mi pulsa e mi sento triste e arrabbiata.

«Andiamo, Willy.» Mio nonno mi mette una mano dietro la schiena e mi conduce fino all'auto.

Ho spento il cellulare, perché ho paura che Victoria mi possa chiamare o mandare un messaggio. Ed è già difficile andarsene così.

In macchina stiamo abbastanza stretti: mio padre e il nonno davanti, nonna dietro alla mia sinistra e mamma alla mia destra, con Vivian in braccio.
Almeno a lei non mancherà nessuno, se si escludono i nonni.

Per tutto il tragitto non faccio altro che pensare a quando sono venuta qui. Io e Vivian eravamo in un taxi perché il nonno non poteva venirci a prendere, tenevo la mano a mia sorella perché non smetteva di piangere e intanto imprecavo contro i miei genitori.
E se tornassi indietro, se qualcuno mi dicesse come sarebbero andate le cose, probabilmente avrei sorriso come un'ebete per tutto il tragitto.

La nonna deve essersi accorta che qualcosa non va, perché mi stringe delicatamente la mano. «Hai diciotto anni, sai?» Mi bisbiglia piano, per non farsi sentire dagli altri. «Dovresti smetterla di farti comandare a bacchetta da loro.»

Corrugo la fronte e la guardo. «Che significa?»

La nonna sospira e si mette una mano sul petto, esattamente sopra il cuore. «Che dovresti andare dove ti dice lui. È lì che sarai sul serio felice, con le persone che ami.»

So cosa vuole dire: mi sta dicendo di rimanere qui, se è questo quello che voglio. Ed io lo desidero con tutta me stessa, ma non è così semplice.
Ho provato a ribellarmi già una volta, per restare a Boston, quando ancora non ero venuta a Portland, ed i miei non hanno sentito una santa ragione.

«Non è semplice.» Mormoro, mentre i miei genitori parlano tra di loro e mio nonno è concentrato sulla guida.

Non ho idea del perché me lo dice adesso, ma ne sono contenta, anche se mi sta facendo venire tanti rimorsi. Ma, forse, la nonna che ricordo di quando ero piccola è sempre stata qui, e quella con cui litigavo in questi giorni non era altro che un'altro suo lato che mi ha preso alla sprovvista, proprio come io ho preso alla sprovvista lei.

«Non è mai semplice seguire ciò che amiamo. Ma sei grande abbastanza, Willow, per decidere per te stessa. Quella ragazza felice che ho visto in questi giorni meritata di continuare a sorridere in quel modo. E se torni, non so quanto ci metterai per ritrovare quella felicità.» Mi stringe un'ultima volta la mano, poi la lascia e si intromette nella conversazione con i miei genitori, mentre le sue parole rimbombano nella mia testa.

La nonna ha ragione: dovrei rimanere dove dice il mio cuore. E lui sta urlando con tutto se stesso di rimanere qui, a Portland. Ma è anche vero che non voglio lasciare Vivian, che da una parte mi dice di seguire anche lei.

Mi sbagliavo quando ho detto che le mie lacrime sono finite: ho di nuovo voglia di piangere e le lacrime agli occhi. La gola mi si chiude e faccio dei respiri tremolanti per calmarmi.

Arriviamo dopo pochi istanti all'aeroporto, che è vuoto come mai prima d'ora. Ma infondo, chi parte a metà ottobre?

Scendiamo tutti dalla macchina e il nonno, guardandomi negli occhi, mi sorride e dice che porterà lui le mie valigie. Non ho la forza per oppormi, quindi lo ringrazio e prendo per mano Vivian.

Proprio lei mi guarda con occhi tristi. «Perché stai per piangere?»

Scuoto la testa e decido di prenderla in braccio, per distrarmi. Ha sei anni, però è molto minuta, e non pesa per niente. «Non ti preoccupare, Viv.» Rimarrò con te, tanto.

«Siamo pronti?» La mamma guarda tutti sorridendo, ignorando palesemente il fatto che sto per scoppiare in lacrime.

«Sì, tesoro.» Papà le dà un bacio tra i capelli e poi prende la sua valigia e quella di Vivian. Il nonno ha la mia e mamma la sua.

La nonna, invece, trascina quella grande da imbarcare, che ha quattro ruote e basta spingerla leggermente per farla smuovere.

Entriamo tutti e sei in aeroporto e, nonostante la situazione in cui siamo, mi viene da ridere: sembra che stiamo per partire chissà dove, chissà per quanto. Dobbiamo sembrare veramente ridicoli, in questo momento.

Ci dirigiamo al check-in per imbarcare la valigia e per confermare i nostri biglietti. Vivian sarà sicuramente vicino uno di noi tre, perché è piccola, mentre noi tre potremmo essere anche dalla parte opposta dell'aereo gli uni dagli altri.

«Salve.» Mio nonno saluta la signora che si trova al check-in e se ne occupano lui, mio padre e mia madre, mentre mia nonna rimane vicino a me e Vivian.

Mi mordo il labbro. «Non la posso lasciare da sola, nonna. So come ci si sente quando i genitori ti ignorano e ti senti solo, e non voglio che lei si senta così.»

Mia nonna sospira. «Willy...»

«No.» La interrompo, facendomi scappare un singhiozzo. «So che devo seguire il mio cuore e tutto, ma è la scelta giusta. Vorrei stare con Easton, ma devo rimanere con Vivian.»

Quest'ultima, ancora in braccio a me, mi guarda confusa, perché non capisce cosa sto dicendo. Ma non la biasimo.

«Willy...» Dice ancora mia nonna e io mi giro verso di lei, furibonda. Ho preso una decisione, perché non può accettarla?

«Nonna, per favore, basta.» Mormoro. «Non cambierò idea.»

Lei annuisce e si schiarisce la gola. «Volevo solo dirti che c'è un ragazzo che sta correndo verso di noi e sembra proprio quello per cui tu hai perso la testa.»

Nello stesso momento in cui lo dice, mi giro a guardare l'entrata dell'aeroporto e incontro gli occhi più belli che abbia mai visto.

«Fenice.» Sussurra lui, a qualche metro da me, ed il mio cuore perde un battito.

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