Capitolo 37 (epilogo, seconda parte)

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Easton's pov

Quella mattina mi sveglio più nervoso del solito. È da un giorno e mezzo che spero che questa realtà sia solo un incubo e mi arrabbio con me stesso per aver sperato, appena mi rendo conto che non è vero.

Mi aggiusto i capelli con una mano, troppo pigro per utilizzare la spazzola, e mi vesto per scuola. Oggi si entra più tardi scuola: invece di entrare alle nove, oggi è alle undici, e Victoria é già in ritardo.

«Vic!» La chiamo mentre scendo le scale. Non mi sorprenderei se stesse ancora in bagno a truccarsi. «Dobbiamo andare, è tardi!»

E invece, la trovo stranamente in cucina girata di spalle, che si fa un panino con la marmellata. Non riesco a credere alle mie orecchie quando le sento scappare un singhiozzo: mia sorella non piange quasi mai. Solo per Henry Lo Stronzo -è così che l'abbiamo soprannominato io e Austin un anno fa-.

«Vic.» Mi avvicino e le metto una mano sulla spalla. «Stai piangendo?»

Lei non dice niente, poggia il panino sul tavolo e si gira per abbracciarmi. Inizia a singhiozzare sulla mia maglietta e cerco di placare la mia rabbia. Chiunque l'abbia ridotta così, la pagherà.

«Austin ha fatto qualcosa?» Le accarezzo piano i capelli, nel tentativo di calmarla. Vaffanculo la scuola, se mia sorella sta male manderò un messaggio a mia madre dopo, dicendo che abbiamo l'influenza entrambi.

Lei scuote la testa. «Mi dispiace tanto, Easton.» Poi si separa da me e si asciuga le lacrime con la manica della felpa.

Corrugo la fronte. «Ma di che parli?» Si sta comportando come se avesse ucciso qualcuno a me caro.

«Easton... Willow sta partendo per Boston. I genitori la stanno costringendo. È per questo che ti ha lasciato.» Sentire questo è come ricevere una pugnalata in pieno petto. Pensavo mi avesse lasciato perché non le piacevo, o perché si sente tradita, ma non perché... è costretta a farlo. «Pensa che se rimanete insieme tu non sarai libero.»

Scuoto la testa. «È un'assurdità.» Mormoro, portandomi una mano tra i capelli. «Non riesco a crederci.»

Victoria continua a piangere. «Easton, ha spento il cellulare. Sta partendo e ci sta lasciando alle spalle. Ti prego... non lasciare che lo faccia.»

Guardo negli occhi mia sorella e per un attimo, uno solo, rivedo gli occhi di Willow. La rivedo il primo giorno che l'ho incontrata, la rivedo quando ci siamo quasi baciati in macchina, o quando siamo andati in libreria.

«No.» Senza neanche capire che cosa sto facendo, prendo le chiavi della macchina e mi precipito nell'auto. Victoria mi urla qualcosa, ma sono troppo distratto per sentirla.

Willow parte, ed io perderò l'unica persona che mi rende felice al 100%.

Guido veloce e concentrato, supero i limiti di velocità e non rispetto i semafori. A fine giornata mi arriveranno tantissime multe, ma non potrebbe importarmene di meno. Spero solo che mia madre non mi ammazzi.

Dieci minuti dopo -che è un miracolo, dato che in genere con il traffico ci vuole mezz'ora- arrivo all'aeroporto. Il parcheggio è vuoto e riconosco la macchina del nonno di Willow. Spero solo che lei sia ancora qui e che non abbia superato i controlli.

Scendo dalla macchina, senza neanche prendere il cellulare dal sediolino o la giacca, e corro dentro.

Mi sento come in quei film d'amore, dove il protagonista raggiunge la propria amata un attimo prima che il volo parta. Spero di avere anche io questa fortuna.

E so di averla, quando vedo Willow vicino al check-in. Sta parlando con sua nonna, ma vedo anche a distanza che sta per piangere, e ha Vivian in braccio.
Poi si gira verso di me e mi fermo sul posto, ancora distante, e incapace di fare o dire altro.

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